16 Settembre 2024

L’economista: «Senza riforma del Patto l’Italia rischia di andare fuori dalle regole. La manovra non è terribile, ma è senza visione. Promesse irrealizzabili sulle pensioni»

Il governo italiano sta giocando con il fuoco, la non approvazione del Mes è pura provocazione. Lucrezia Reichlin, professoressa della London Business School, commenta le recenti posizioni dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. La manovra? Manca di visione ma non è terribile.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha detto che a queste condizioni non è disposto a votare le modifiche al patto di stabilità europeo, come giudica queste affermazioni?
«Penso faccia parte della strategia di questo governo che dice no a qualsiasi proposta di riforma, dal patto di stabilita al Mes, perché si sente forte rispetto agli altri governi europei, tutti in bilico e con una prospettiva temporale corta. È una posizione pericolosa perché mette a rischio un capitale politico comune che, se pur fragile, con l’esperienza del Covid è cresciuto».

Quali sono le conseguenze?
«Comporta dei rischi per la costruzione europea, non solo per il nostro Paese. Come si può immaginare un approfondimento dell’unione politica, necessario a dare maggiore peso all’Europa in un mondo sempre più frammentato, senza fare progressi sulla riforma economica? La non approvazione del Mes è una pura provocazione: la riforma sarebbe favorevole all’Italia in caso di una crisi del debito. La riforma del patto di stabilità non è perfetta, ma è un passo avanti rispetto al vecchio patto. Il governo gioca con il fuoco e punta a prendere tempo fino alla prossima legislatura europea quando spera si affermerà nel Parlamento europeo una posizione meno favorevole all’integrazione delle politiche economiche».

Prendere tempo comporta dei rischi?
«Nel breve periodo il rischio per l’Italia è che se si restaurasse il vecchio patto, che richiede un aggiustamento di bilancio molto più pesante della nuova proposta, l’Italia non sarebbe nella condizione di soddisfarne le regole. In quel caso, se si dovesse verificare una turbolenza nei mercati, la Bce non potrebbe attivare il suo nuovo programma anti-spread a favore dell’Italia, che quindi resterebbe senza salavagente».

Quindi non concorda con Tremonti, secondo cui le decisioni sul patto di stabilità andrebbero rinviate a dopo le europee?
«Assolutamente no. Sono mesi che si negozia e la riforma è il prodotto di questa legislatura. Se non passasse si dovrebbe ricominciare da capo e sulla base di una fiducia tra paesi che si è erosa. Ricordiamoci anche che la Bce preme per un accordo ora perché la riforma del patto fa parte di una architettura complessiva che vede la politica monetaria e quella fiscale agire di concerto pur nella rispettiva indipendenza. Lo ripeto, si sta giocando con il fuoco».

Ma quindi l’Italia è isolata in Europa o sta facendo sentire la sua voce?
«È giusto negoziare, anche duramente. Ma se il negoziato erode il capitale politico collettivo vuol dire che si vuole sfasciare quello che si è costruito con fatica in questi anni di crisi: debito comune, nuovo ruolo della Bce e solidarietà tra stati membri. Ma poi negoziare per quale obiettivo? La posizione italiana sul patto di stabilità non è condivisibile. L’impianto della riforma si basa sulla analisi di sostenibilità – principio a mio avviso giusto – e non c’è ragione di eliminare delle voci. Il debito o è sostenibile o non lo è. Ciò su cui si sarebbe dovuto negoziare – e su questo allearsi con altri paesi – è l’alleggerimento delle salvaguardie chieste dai tedeschi. Queste ultime impongono un aggiustamento più veloce a paesi con alto debito e deficit a prescindere dall’analisi di sostenibilità. Sono richieste motivate da mancanza di fiducia tra paesi più che da un principio economico».

Venerdì arriva il giudizio di Moody’s sul debito italiano, quanto incide la valutazione dell’agenzia di rating?
«Incrociamo le dita. Tutti tifiamo per l’Italia. Ma un rischio c’è. Abbiamo un rating appena sopra il “junk” e outlook negativo. Sono finiti i tempi dei bassi tassi di interesse e se i tassi aggiustati per l’inflazione sono maggiori del tasso di crescita, il debito si può stabilizzare solo se diminuisce il deficit, cosa che questo governo per ora non ha fatto. In più ci sono molti rischi all’orizzonte, inclusi quelli di un conflitto prolungato in Medio Oriente con l’effetto che potrebbe avere sui prezzi dell’energia. Bisogna stare molto attenti».

Che valutazioni ha fatto sulla Manovra del governo Meloni?
«Rivela una mancanza di visione, ma non e terribile. C’è la retorica dell’abbassamento del cuneo fiscale, che si fa solo per un anno. È retorica perché senza un abbassamento dei contributi pensionistici, l’abbassamento permanente non si può fare. Lo sanno tutti. Questo governo non è stato il solo a fare demagogia su questo punto. E c’è un’implicita tolleranza all’evasione fiscale perché si riduce l’obbiettivo del tax gap. Si arranca, ma non si dà l’idea di una visione di lungo periodo. Su questo, il governo Meloni non fa eccezione».

Sulle pensioni il governo voleva abolire la legge Fornero e invece si è trovato addirittura a irrigidire alcuni paletti. Qual è il suo giudizio?
«Era ovvio che le promesse elettorali non potevano essere onorate. Tra governare e fare campagna elettorale c’è molta differenza. Ma riformare le pensioni è difficile e controverso per qualsiasi paese e per noi in particolare con l’andamento demografico così debole. Non ci sono soluzioni facili. Ci vorrebbe una grande riforma bipartisan basata su un patto sociale da rifondare».

Nel frattempo, i tassi alti si stanno traducendo in problemi per le imprese e per le famiglie.
«Ciò che conta è il tasso di interesse reale, cioè quello nominale aggiustato per l’inflazione. L’inflazione peraltro sta scendendo più rapidamente di quanto la Bce si aspettasse ma sembra che la decisione sia di mantenere i tassi nominali a questi livelli ancora per mesi. Questo significa un aumento del tasso reale e di conseguenza un costo molto pesante per imprese e famiglie oltre che un alto costo di rifinanziamento del debito pubblico. In realtà le imprese italiane si sono rivelate abbastanza capaci di assorbire questo costo anche perché meno indebitate rispetto al passato. Non è così per le famiglie. Il 2024 sarà un anno difficile».

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