Fonte: Corriere della Sera
di Franco Venturini
I progetti di Francia e Germania non sono di poco conto. Macron ha puntato su una maggiore integrazione dell’eurogruppo. Angela Merkel non lo ha fermato
Importanti per la Germania, le elezioni tedesche lo sono ancora di più per l’Europa. Una Europa che fino allo scorso maggio ha vissuto trattenendo il respiro nel timore che una vittoria dei fascio-populisti in Francia cancellasse ogni sua ambizione. E che da allora, incassato il successo dell’europeista Macron, ha scelto di prolungare il proprio immobilismo per aspettare il responso delle urne tedesche. Non che ci fossero molti dubbi sulla quarta investitura di Angela Merkel. Ma la cancelliera e il presidente volevano, prima di scoprire le carte della rifondazione europea che avevano in mente, attendere la formazione del nuovo governo a Berlino, approfondire la loro intesa lontano dai riflettori, mettere a punto riforme concrete, creare insomma le premesse per far partire a tempo di record, dopo la stagione delle urne, un rilancio epocale dell’Unione.
La premessa temporale è indispensabile per capire fino a che punto l’Europa a guida franco-tedesca intenda «rinnovare il suo eroismo politico e riconquistare il suo posto nella Storia» (parole dell’entusiasta Macron). E serve anche da avviso per chi in Europa ha calendari diversi (l’Austria e l’Italia devono ancora votare), oppure non sembra avere tutte le carte in regola per cavalcare i tempi nuovi che si annunciano nel Vecchio Continente o almeno in parte di esso. I progetti in attesa sul tavolo franco-tedesco non sono di poco conto.
Macron, che ha potuto nei mesi scorsi prendere l’iniziativa senza le prudenze elettorali della Merkel, ha puntato sulla maggiore integrazione di un Eurogruppo visto come avanguardia e nocciolo duro dell’intera Unione. Ecco allora le proposte per un ministro delle finanze comune nella zona euro e soprattutto per un bilancio comune finanziato con titoli di tutti i Paesi dell’eurozona, ecco rispuntare un fondo monetario europeo, ecco le sottolineature sugli investimenti da accrescere e da proteggere (dal dumping cinese, ma senza dirlo troppo) , e naturalmente ecco le «diverse velocità» faticosamente concordate a Roma lo scorso marzo, l’enfasi sulla difesa comune, le riforme da completare come l’unione bancaria.
Angela Merkel ha risposto alla spinta di Parigi con la consueta cautela, ma ha detto di poter «immaginare» la maggiore integrazione finanziaria dell’Eurogruppo, e non ha mai dato l’altolà a Macron. Probabilmente in questa Cancelliera che tende la mano c’è anche il peso dei nuovi equilibri europei, con l’alleata Gran Bretagna che se ne va, con la Polonia e l’Ungheria che seguono vie nazionali e nazionalistiche, con la Slovacchia e la Repubblica Ceca che senza animosità fanno comunque parte del disobbediente Gruppo di Visegrad. La Germania è meno forte di prima, e la signora Merkel non può non saperlo. Ma se questo può incoraggiarla a sottoscrivere con la Francia una ambiziosa rinascita europea, la prudenza è ancora d’obbligo su quelle riforme (come il bilancio comune) che alle sensibilità tedesche possono sembrare una riedizione della «Germania che paga per tutti». Ipotesi peraltro mai verificatasi.
Quel che conta, in attesa di poter misurare fino a che punto la Cancelliera Merkel seguirà il Presidente Macron, è che senza alcun dubbio l’Europa del dopo-elezioni farà un balzo in avanti lungamente atteso e lungamente preparato. Ed è, anche, che questo balzo in avanti sarà guidato dalla Francia e dalla Germania come è sempre accaduto nella storia dell’Europa, si vedrà quanto concordemente.
Per l’Italia l’occasione è grande, ma sono grandi anche i rischi. Come ha spiegato Francesco Giavazzi su queste colonne esaminando quali pericoli potrebbe comportare per noi il peraltro auspicabile bilancio comune dell’eurozona, l’Italia oggi immersa nelle risse politico-giudiziarie dovrebbe piuttosto esaminare i progetti di riforma in discussione a livello europeo. E individuare i nostri interessi nazionali per poi portarli all’attenzione di quella che si spera possa diventare l’avanguardia dell’avanguardia: Francia e Germania, beninteso, ma anche Italia e Spagna. Possiamo, se saremo in grado, esercitare in Europa una influenza che ben raramente abbiamo avuto in passato. Possiamo determinare almeno in parte l’agenda delle urgenze europee, e basta citare la revisione dei protocolli di Dublino sulle migrazioni per capire quanto sia alta la posta. Possiamo contribuire ad affrontare quei malesseri sociali e identitari che sono all’origine delle ondate populiste sin qui sconfitte, ma di sicuro non sradicate e pronte a tornare all’offensiva.
Possiamo. Ma per non essere lasciati indietro da una Europa decisa ad avanzare nell’integrazione e trainata dai due leader post-ideologici di Francia e Germania, l’Italia deve cambiare anch’essa. Evitando di rivelarsi ingovernabile dopo le elezioni, capitalizzando sui successi ottenuti nel controllo dei flussi migratori, incoraggiando crescita e occupazione ora che la congiuntura economica è migliorata, mantenendo l’obbiettivo della riduzione del debito pubblico e scongiurando il rischio di farsi travolgere da una campagna elettorale tanto lunga e tanto polarizzata da impedire una attenta valutazione di quanto per l’eurozona si prepara.L’Europa reagirà perché sa di essere arrivata, fortunosamente, alla sua ultima spiaggia. Si deve sperare che la politica italiana lo capisca, e reagisca di pari passo per non conoscere il castigo dell’emarginazione.