Fonte: La Stampa
di Paolo Mastrolilli
Il suo addio alla presidenza: «Non credete nel cambiamento che posso portare io, ma in quello che sta dentro di voi»
Barack Obama ha citato Donald Trump una sola volta, nel discorso con cui ieri sera dalla sua Chicago ha dato l’addio alla presidenza, quando ha promesso di favorire una transizione morbida. Tutto il resto dell’intervento, però, è stato la denuncia dei problemi che hanno consentito la vittoria del candidato repubblicano, e ora minacciano la tenuta della stessa democrazia americana.
Obama ha brevemente ricordato i suoi risultati, dal superamento della crisi economica del 2008 all’uccisione di Osama bin Laden, passando per la riforma sanitaria, la legalizzazione dei matrimoni gay, l’accordo nucleare con l’Iran: “Se otto anni fa vi avessi detto che intendevamo realizzare tutte queste cose, mi avreste invitato ad abbassare le pretese”. Subito dopo, però, ha ammesso che “per quanti progressi abbiamo fatto, ancora non basta. Per ogni due passi avanti, ne facciamo uno indietro”.
Il fatto che non sia bastato lo dimostra la vittoria di Trump, che nell’analisi di Obama è dipesa da una insoddisfazione basata su vari aspetti. Uno è certamente la disuguaglianza economica, e in particolare il timore della classe media bianca di perdere il controllo del paese: “Dobbiamo saper ascoltare, e metterci nei panni non solo del membro della minoranza nera o asiatica che si sente emarginato, ma anche del bianco che vede il suo mondo minacciato dalle tecnologie, la demografia, i mutamenti della storia”. Un altro è la razza, che nonostante tutto continua a dividere gli americani. La vittoria di Trump, infatti, può anche essere letta come una reazione dei bianchi al primo presidente nero, che li ha spinti a votare il candidato più opposto possibile, e garante dei loro interessi. Poi c’è la divisione politica, e l’isolamento a cui sta spingendo gli americani, che sono “soddisfatti di starsene nella loro bolla”. Per questa ragione rifiutano anche di conoscere a verità, e “selezionano le loro fonti di informazione in modo da sentire solo le notizie e i commenti che confermano il loro punto di vista”.
Tutti questi problemi, e altri ancora, sono autentici, ma non hanno fatto perdere ad Obama la fiducia nell’America, che resta un luogo eccezionale per la volontà di superarli e di continuare la costruzione di una unione più perfetta. “Non credete nel cambiamento che posso portare io, ma in quello che sta dentro di voi. Se qualcosa ha bisogno di essere aggiustato, mettetevi le scarpe, uscite e fatelo”.
Il momento più commovente è venuto quando ha salutato la moglie Michelle, e le figlie Malia e Sasha (rimasta a Washington perché oggi ha un esame a scuola). Obama si è dovuto asciugare una lacrima su viso, mentre diceva a Michelle: “Non sei stata solo la madre delle mie figlie, ma anche la mia migliore amica. Hai reso la Casa Bianca la casa di tutti, e ci hai resi orgogliosi”.
Il presidente ha chiarito che non lascerà la scena politica, perché “il titolo più importante in una democrazia è quello di cittadino, ed io continuerò ad esserlo fino alla fine dei miei giorni”. I leader del Partito democratico gli hanno chiesto di restare attivo per ricostruire dopo la sconfitta di Hillary Clinton, e lui ha accettato di diventare in pratica il capo dell’opposizione. Nella certezza che la democrazia americana saprà curare i suoi mali, come ha detto nell’ultima riga del discorso: “Yes we can, yes we did, yes we can”. Possiamo farlo, lo abbiamo fatto, e lo faremo ancora.