Nel suo ultimo discorso di addio alla nazione nello Studio Ovale il presidente uscente ha sostenuto la necessità di mantenere la separazione dei poteri. E sul clima: «Forze potenti vogliono minare lotta a climate change»
«Sono preoccupato dalla concentrazione di potere nelle mani di poche persone ricche». Dallo Studio Ovale, nel suo ultimo discorso alla Nazione, Joe Biden ha ammonito, a pochi giorni dal trasferimento del potere a Donald Trump, che «oggi in America sta prendendo forma un’oligarchia di estrema ricchezza, potere e influenza che minaccia la nostra intera democrazia».
Dopo 4 anni alla Casa Bianca e 52 nella vita politica, il presidente uscente ha messo in guardia i cittadini dall’oligarchi della tecnologia, dagli interessi del complesso industriale-energetico, dalla «valanga di disinformazione» che ha «seppellito gli americani» e che arriva attraverso i social («Dobbiamo fare in modo che le piattaforme social rispondano dei loro atti»). Ha dichiarato inoltre che il potere dei presidenti non deve essere assoluto. «Nessun presidente dovrebbe essere immune dai crimini che commette quando è in carica».
In quest’ultimo discorso Biden, che esce di scena con un tasso di approvazione bassissimo, del 36,7%, non ha cercato più di tanto di convincere gli americani dei propri successi politici, perché «ci vorrà tempo per sentirne gli effetti». Ha fatto solo alcuni accenni: all’industria dei semiconduttori riportati in patria, alla riduzione del prezzo dei medicinali, alle leggi per controllare la diffusione delle armi, alla Nato e all’Ucraina, alla competizione con la Cina, e soprattutto all’inizio, al cessate il fuoco raggiunto poche ore prima tra Israele e Hamas, al quale aveva dedicato alcune parole già nel pomeriggio. Ha ribadito che il piano è stato «sviluppato dalla mia squadra» e verrà «implementato dalla prossima amministrazione» ed è per questo che «li abbiamo tenuti pienamente informati» (poche ore prima Trump si era attribuito il merito dell’accordo). Ma è soprattutto al futuro che ha guardato il presidente: la libertà delle istituzioni (inclusa la stampa libera) in patria, la minaccia dei cambiamenti climatici e il timore che le norme approvate durante il suo mandato vengano adesso cancellate e il futuro venga «sacrificato per il potere e il profitto»; i rischi dell’Intelligenza Artificiale se l’America non ne controlla lo sviluppo e lo lascia alla Cina.
I suoi consiglieri pensano che la Storia sarà più clemente con Biden di quanto non lo siano i suoi contemporanei. «Una lettera d’amore al Paese»: così ha definito il discorso David Axelrod, che fu stratega elettorale di Barack Obama. Biden ha fatto errori, molti credono che non avrebbe dovuto ricandidarsi e il suo aspetto fragile in tv non fa che riconfermarlo; tanti lo rimproverano per la grazia a suo figlio Hunter, che era presente alle 8 di sera, durante il discorso, nello Studio ovale insieme alla first lady Jill e ad altri parenti, alla vicepresidente Kamala Harris con il marito Doug Emhoff. Ma nel dire addio Biden ha ribadito ciò che ai suoi occhi esprime l’identità più profonda dell’America: la «possibilità» a tutti di diventare chiunque e qualunque cosa. Proprio quella possibilità – ha avvertito – e dunque l’identità dell’America viene strappata e travolta dalla concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi che credono di non dover rispettare le regole e pagare le tasse.