Fonte: La Stampa
di Francesca Paci
Lo storico e demografo francese Emmanuel Todd parla di UE e di terrorismo dopo lunghi mesi di silenzio seguiti alla controversa uscita del suo libro “Qui est Charlie”
Ha previsto il collasso dell’Urss quando Gorbaciov non era neppure titolare nel politburo sovietico, la crisi finanziaria del 2008 con sei anni d’anticipo, le primavere arabe in gestazione all’ombra di tiranni anacronistici. Oggi, convinto che il ruolo di «profeta certificato» porti solo grane, lo storico e demografo francese Emmanuel Todd parla assai meno volentieri. Per la verità non ha parlato più per niente dalle furiose controversie sul suo ultimo libro «Qui est Charlie?», nel quale si dissociava dal corteo repubblicano dell’11 gennaio 2015 leggendovi l’espressione del Paese provinciale, piccolo borghese, cattolico e reazionario che aveva votato per l’Unione Europea quando lui ne presagiva già i fallimenti prossimi venturi. «Scrissi subito contro l’Europa, era chiaro che non avrebbe mai funzionato» ci dice al telefono da Parigi. È da poco tornato dal Giappone e in Francia si diffonde l’eco dell’ennesima polemica intellettuale sullo scrittore Kamel Daoud, accusato d’islamofobia come mesi prima Todd lo era stato d’islamofilia.
Cominciamo dall’Europa: vedremo la realizzazione del peggiore dei suoi vaticini, la fine del sogno di Altiero Spinelli?
«L’Europa è qualcosa di molto diverso dall’idea originaria di comunità di Paesi liberi e uguali. Oggi ci sono paesi più uguali di altri e la soluzione è debole per tutti. Siamo di fronte a un sistema gerarchico con la Germania alla guida, la Francia a fare il servitore e gli altri d’accordo o zitti: non si discute».
Vuol dire che ha ragione il premier italiano Matteo Renzi ad alzare la voce a nome dei presunti “meno uguali” degli stati membri?
«Non conosco bene l’Italia, ma dovrebbe smettere di considerare la Francia una sorella: è una nemica invece, si finge amica ma gioca con la Germania al ruolo complementare di poliziotto buono e cattivo».
L’Ue non le è mai piaciuta, sin dai tempi del trattato di Maastricht. Ma se oggi non ce la facciamo insieme come possiamo farcela da soli domani nell’onnivoro mondo globale?
«Ci hanno raccontato la favola dell’euro e oggi ci dicono che abbandonarlo sarebbe una tragedia. Falso. Il problema è dentro, non fuori. In seno all’economia globale il mercato più potente, ossia l’Europa, ha adottato l’austerity scegliendo di non contribuire alla ripresa della domanda globale. Come fa l’euro-zona a proteggerci dalla crisi se l’ha prodotta? Non siamo più uguali neppure nel mercato interno, dove la Germania ha riorganizzato l’economia dei paesi dell’est che sono di fatto la Cina dei tedeschi. L’epilogo è tragico: se per salvare il sistema restiamo insieme affoghiamo tutti, l’unica chance è disintegrarci e poi ciascuno si prenda le sue responsabilità».
Per chi è nato negli anni ’70 e dopo, l’Europa significa libertà, bene tanto più prezioso oggi che siamo circondati dalla guerra. Non si può salvare quel che abbiamo costruito?
«È una battaglia di retrovia. La Francia è la metafora del tragico errore dell’euro: un grande paese che insieme all’America e al Regno Unito ha inventato la democrazia e che oggi, con l’euro, assiste alla scomparsa della democrazia. In realtà è un processo che va avanti da trent’anni, da quando la Francia urbana e illuminista ha iniziato a cedere il passo alla provincia cattolica, islamofoba come un tempo era antisemita, tradizionale ed euro-entusiasta. Siamo giunti alla fase finale. Il fallimento principale è economico: senza valuta nazionale e avendo ceduto la leadership a Berlino, Parigi ha perso il controllo sul budget e sulla politica fiscale, e si trova alla paralisi. Così, cogliendo l’occasione della pur reale e pericolosissima crisi all’interno dell’islam, le nostre élite ci tengono occupati con il terrorismo. Non nego che il terrorismo sia un tema importantissimo ma non è l’unico, mi sembra piuttosto un capro espiatorio cavalcato per evitare di affrontare le problematiche dinamiche interne, dall’invecchiamento all’aumento delle diseguaglianze: e trovo immorale pensare che sarà la nostra priorità per i prossimi 5 anni».
Cosa si aspetterebbe invece?
«La soluzione è uscire dall’euro, almeno proviamo a muoverci. Di solito su questo tema si usano parole soft ma oltre a quello economico c’è un fallimento politico: a parte i partiti estremi, destra e sinistra si aggrappano all’euro perché sono incapaci di trovare soluzioni alla crescita ormai vicina allo zero, alla disoccupazione oltre il 10%, alla società che invecchia e avrebbe bisogno di invitare i migranti anziché di respingerli. Non accade nulla di nulla in Europa né sul piano economico né su quello della proposta intellettuale, la Francia non sa più includere i suoi giovani, le cose vanno sempre peggio. Siamo ancora convinti che i nostri valori occidentali siano meravigliosi e io non sono un dissidente su questo punto, ma dobbiamo ammettere che qualcosa sta andando storto se le società liberali hanno così tanti dissidenti».
Crede che ci sia resistenza ad ammettere quanto non ha funzionato?
«Non lo so ma non tutte le critiche sono bene accette. La politica è diventata un gioco, una commedia con gli stessi attori che ritornano, Sarko, Hollande, la Le Pen, si ha la pretesa di scegliere sapendo che non è possibile scegliere perché c’è l’euro. Le élite utilizzano l’islam per non ammettere di non poter o voler affrontare tutto il resto, la dottrina di destra si diffonde e chiede sempre più islamofobia, il dibattito francese sul decadimento della nazionalità è grottesco perchè tutti sono d’accordo sul fatto che non scoraggerà di certo i kamikaze. Per il mio libro “Qui est Charlie?” sono stato trattato da nemico pubblico, forse perché ho ricordato il regime di Vichy che per qualsiasi francese istruito è un messaggio molto chiaro».
Eppure nella sua analisi sembra che non abbia senso, se non un senso limitato, occuparsi di terrorismo, di radicalizzazione delle periferie francesi (e non solo), della distanza crescente tra i musulmani e gli altri. Il problema invece esiste eccome.
«L’islam è un problema, specialmente nelle periferie dove s’impone un certo sistema famigliare, non sono cieco su questo. Ma siamo una società complessa con dinamiche interne complesse. Io cerco di ragionare per capire e credo che il nodo non sia chiedersi perché l’islam radicale è così appetibile. La domanda invece è “cosa significa essere giovani oggi?”. All’indomani del Bataclan seguivo con attenzione la descrizione fatta dei nostri giovani, da una parte pazzi terroristi e dall’altra ragazzi felici e senza problemi. Ma l’idea che essere giovani sia meraviglioso e facile è tipico delle società vecchie, non capiamo i giovani e non li includiamo, dovremmo stare nella testa di uno vent’anni specie se proveniente dalla bassa borghesia e forse ci vedremmo cinici e vecchi. Poi c’è ovviamente anche il contesto globale: oltre alla nostra crisi di società stratificata c’è quella del Medioriente in cui il post primavere arabe ha prodotto una situazione da Europa alla vigilia della prima guerra mondiale con giovani alfabetizzatisi mentre il loro mondo (sunnita) si disintegrava. Le due crisi interagiscono e siamo arrivati a questo punto».