Fonte: Corriere della Sera
di Enzo Moavero Milanesi
In Europa ci siamo abituati ai periodici vertici dei leader. Li seguiamo distrattamente; molti dubitano della loro efficacia e, spesso, li temiamo dominati da intenti estranei o ostili. In realtà sono importantissimi, perché consentono un confronto diretto sulle questioni di rilievo e di comune interesse. Nell’Unione Europea, dopo ben oltre mezzo secolo di progressiva integrazione, si è creata una notevole interdipendenza fra gli Stati membri che condiziona la maggior parte delle politiche pubbliche e, dunque, la vita dei cittadini. La chiave di volta del sistema Ue è la libera scelta di rinunciare all’esercizio, esclusivo e nazionale, di porzioni di sovranità, per condividerle con altri Paesi in un quadro strutturato. Ne discende l’assunzione di una più vasta responsabilità, che abbiamo il dovere di esercitare in seno a istituzioni di cui siamo tutti partecipi. Al riguardo, un ruolo primario spetta ai governi degli Stati, in particolare attraverso il Consiglio europeo: la sede decisiva per le scelte fondamentali, nell’attesa che si trovi il coraggio di un’evoluzione politica compiutamente federale. Già per questo, la riunione di oggi merita attenzione, ma ci sono altre ragioni specifiche, legate alla fase che stiamo attraversando. Il 2017, è un anno di elezioni: si è votato in Austria, Bulgaria, Paesi Bassi e Francia; si voterà in Germania. Anche la Gran Bretagna è andata al voto, ma nella peculiare situazione seguita al referendum per la Brexit. Contrariamente a svariate previsioni della vigilia, le forze politiche antieuropee non hanno prevalso.
Il caso clamoroso è la Francia, dove gli elettori hanno premiato un presidente e il suo nuovo partito, esplicitamente favorevoli a un’Europa più unita. Un risultato che ci riguarda, perché di sicuro vedremo iniziative francesi improntate a tale obiettivo. Dalle prime mosse di Emmanuel Macron a livello internazionale, i suoi intenti sembrano chiari: proposte concrete e azione concertata con la Germania. Questo è il suo debutto al Consiglio europeo e vedremo se e quanto saprà influire sui suoi pari. I tedeschi devono ancora eleggere il prossimo cancelliere, ma, guardando i contendenti, la vocazione europeista appare assicurata. I due Paesi si accingono a rilanciare l’Unione: di recente, hanno detto che se necessario non si deve esitare a modificare i trattati costitutivi, né a procedere a «diverse velocità»; hanno anche annunciato, per luglio, un documento congiunto in materia economica e monetaria; è verosimile che si profilino, a breve, su temi di politica sociale, una delle pesanti incompiute europee; ed è sicuro che vorranno fare passi avanti sulla gestione dei flussi migratori e in materia di difesa.
Quasi tutti questi punti sono nell’agenda dell’odierno Consiglio europeo: migrazioni, sicurezza, occupazione, crescita e competitività dell’economia. Avremo modo di capire come interagiscono il nuovo leader francese e la decana Angela Merkel: accomunati dalla grande competenza nelle questioni Ue; e complementari nella chimica fra il dinamismo del neofita esperto e il consolidato ascendente di chi siede al tavolo da lungo tempo. I titoli dei temi da discutere sono quelli giusti, così come le sintetiche annotazioni che li accompagnano. Per esempio, c’è un focus sulle rotte mediterranee dei migranti e sulle cause profonde del loro esodo; si guarda agli aspetti sia esterni che interni della sicurezza, per far fronte a un terrorismo internazionale che non cessa di colpire; verranno formalizzate le annuali raccomandazioni specifiche agli Stati, per indirizzarne l’azione riformatrice. Gli europei, tuttavia, più che di ordini del giorno, hanno bisogno di risultati concreti. L’ultimo decennio ci ha destabilizzati e sono aumentate le diseguaglianze socio-economiche. I diffusi esiti elettorali negativi di chi propugna ritorni nazionalisti e le incertezze nella Gran Bretagna che li ha voluti, mostrano che è viva la speranza che l’Unione sia ancora una risorsa decisiva. Ma per ridare la fiducia ai cittadini occorrono vere soluzioni, rapide, visibili e tangibili.
I leader riuniti hanno la responsabilità di dimostrare, nei fatti, non solo nei programmi, che i loro vertici non sono una stanca liturgia. Così, le migrazioni, una tragedia epocale, vanno affrontate alle radici; il «Piano Merkel» per l’Africa di cui si parla tanto, deve coinvolgere l’intera Ue, tradursi in investimenti nei Paesi di provenienza dei migranti con il duplice effetto di migliorare le loro condizioni, riducendo l’incentivo a partire, e di offrire opportunità ad aziende europee. Urgono misure incisive affinché le persone che, in base alle regole in vigore, vengono accolte nella Ue siano poi redistribuite, con modalità corrette, in tutti gli Stati membri. Anche in Europa ci vogliono investimenti che creino lavoro e riforme per modernizzare sistemi e assetti ormai usurati: un cantiere enorme, da gestire insieme. È una buona idea riprendere i progetti del 2012 per un bilancio autonomo dell’eurozona e per emettere titoli di debito comune europeo con cui finanziare le azioni più necessarie, sotto un controllo comune; in questo modo, si ridurrebbe l’asimmetria perniciosa fra i Paesi che hanno risorse da spendere e quelli che, per farlo, devono continuare a indebitarsi