Fonte: La Repubblica
di Rosario Amato
L’audizione del presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio Giuseppe Pisauro e del vicedirettore della Banca d’Italia Federico Signorini sulla Nota di aggiornamento. Critici anche Istat e Corte dei Conti
L’Ufficio parlamentare di Bilancio “ritiene che non sia possibile validare le previsioni macroeconomiche relative al 2019” contenute nella nota di aggiornamento al Def, appena presentata dal governo. Secondo l’Upb sono troppo ottimistiche le previsioni di crescita del Pil reale (1,5 per cento) e nominale (3,1 per cento): troppi i forti rischi al ribasso, dovuti in parte alle “deboli tendenze congiunturali di breve termine”, ma anche alle “turbolenze finanziarie”. Troppo ottimistiche anche le previsioni per gli anni successivi, aggiunge l’Upb, nonostante non sia tenuto a dare un giudizio anche sul biennio successivo.
L’ottimismo eccessivo del governo trascura anche i costi legati all’aumento dello spread: l’Upb calcola una maggiore spesa per interessi di 17 miliardi al 2021, corrispondenti a 0,9 punti percentuali di Pil. Forti dubbi anche sull’incidenza sul Pil degli investimenti che, osserva il presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, Giuseppe Pisauro, nell’audizione sulla Nota al Def davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, dovrebbe aumentare dall’1,9 per cento del 2018 al 2,3 per cento nel 2021, “obiettivo certamente condivisibile ma particolarmente ambizioso se raffrontato all’andamento recente”.
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L’Ufficio parlamentare di bilancio esprime una particolare preoccupazione per il mancato rispetto delle regole europee, e in particolare del Patto di stabilità e crescita, che potrebbe essere considerato “particolarmente grave” dalla Commissione Ue.
Le bocciature dell’Upb tuttavia non sono una novità: infatti nel 2016 neanche il Def firmato dall’allora ministro dell’Economia Padoan ottenne la validazione. Tuttavia, in quel caso Padoan tornò in Parlamento e, pur mantenendo la previsione di crescita, alla fine aumentò le stime del deficit, ottenendo a quel punto la validazione.
Bankitalia: “Effetti modesti”
Giudizio negativo anche da parte della Banca d’Italia, che ipotizza un forte allungamento dei tempi di abbattimento del debito. Già a maggio, dice nel corso dell’audizione in Parlamento il vicedirettore Federico Signorini, “avevo fatto presente che ai tassi di interesse allora prevalenti sarebbe stato possibile ricondurre il peso del debito al di sotto del 100 per cento in circa dieci anni, purché si avviasse subito una convergenza dell’avanzo primario verso il 4 per cento del PIL, in assenza di shock di mercato. Se si ripetesse meccanicamente lo stesso esercizio utilizzando i tassi di oggi e ipotizzando una ripresa del consolidamento posticipata al 2022, come annunciato nella Nota, si vedrebbe che il tempo necessario per raggiungere lo stesso livello si allungherebbe, teoricamente, di altri sette od otto anni. La fiducia dei risparmiatori nella credibilità del processo di rientro rischierebbe di esserne intaccata”.
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Soprattutto, anche Bankitalia giudica le previsioni di crescita del Nadef eccessivamente ottimistiche: “L’aumento dei trasferimenti correnti, quali quelli connessi con la spesa sociale, così come gli sgravi fiscali, tendono ad avere effetti congiunturali modesti e graduali nel tempo; stimiamo che il moltiplicatore del reddito associato a questi interventi sia contenuto”. E quindi, la crescita del Pil nel 2019 si manterrà persino sotto l’1%.
Le critiche della Corte dei conti
Al coro delle richieste di prestare attenzione si iscrive anche la Corte dei Conti. “Interventi a favore dei trattamenti previdenziali e delle politiche di assistenza che puntino al contrasto della povertà devono essere adottati senza mettere a rischio la sostenibilità finanziaria del sistema”, ha detto il presidente Angelo Buscema, in riferimento a reddito e pensioni di cittadinanza da inserire in Manovra. Proprio in considerazione del debito pubblico così elevato, Buscema ha ricordato che “un indebolimento delle riforme che hanno contribuito ad una maggiore sostenibilità del nostro sistema non può non destare preoccupazione”.
Di peso altre critiche della Corte: secondo i magistrati contabili, “il quadro macroeconomico programmatico appare ottimistico”, mentre sono “contenuti” i margini di sicurezza “rispetto a una risalita del debito/Pil”. In definitiva, “la traiettoria disegnata nel quadro programmatico della Nota non appare rassicurante”. Dito puntato anche sul tema del condono. “Il ripetersi di modalità di prelievo (sanatorie fiscali o mitigazioni del prelievo su limitate tipologie di soggetti) che, pur dettate dall’intento di riequilibrare e, ove possibile, alleggerire l’onere fiscale, può incidere sulla stessa percezione di equità fiscale o introdurre nuove distorsioni nelle scelte adottate nel mondo del lavoro”, ha rimarcato Buscema.
Istat: “Indicatori non favorevoli”
Anche l’Istat – sempre in audizione sulla Nadef – ha ribadito la sua cautela. “Le prospettive a breve termine dell’economia in base ai segnali forniti dall’indicatore anticipatore istat non risultano favorevoli e lasciano prevedere il prolungamento della fase di crescita contenuta”, ha detto il presidente Maurizio Franzini. “Questi elementi risultano compatibili con l’ipotesi, contenuta nella nota, di una crescita nel secondo semestre su ritmi analoghi al secondo trimestre”, dell’anno, ha aggiunto
Fuori dal Parlamento, un’altra critica a una delle misure della Manovra è arrivata indirettamente dai Commercialisti. Il loro Consiglio nazionale ha rilevato infatti che se la ‘pace fiscalè voluta dal Governo “si applicasse solo in favore di chi non ha pagato, ma ha dichiarato il proprio debito di imposta all’Erario, gli importi iscritti a ruolo nelle cartelle non supererebbero il 15%”. Proprio nella relazione allegata alla Nota di Aggiornamento al Def sull’evasione fiscale si legge che, “nella media del periodo 2011-2016 il ‘gap’ complessivo relativo all’Irpef da lavoro autonomo, Ires, Iva, Irap, locazioni e canone Rai ammonta a circa 86,4 miliardi di euro: di questi, 13,2 miliardi sono ascrivibili alla componente dovuta ad omessi versamenti ed errori nel compilare le dichiarazioni, mentre il ‘gap’ da omessa dichiarazione ammonta a circa 73,2 miliardi”. Perciò, il “15,3% dell’evasione è di chi ‘dichiara, e poi non pagà il restante 84,7% deriva da dichiarazione infedele o omessa”.