Fonte: La Stampa
di Francesca Paci
Oscurati i social network: “Ma sappiamo aggirare la censura” “La repressione aumenta ogni giorno, gli agenti sono ovunque”
«Da tre giorni il governo blocca Telegram e Instagram come mai prima, non ho avuto alcuna connessione a Internet per ventiquattrore, ma questa conversazione prova che noi giovani iraniani troviamo sempre un’alternativa per comunicare». Ali (un nome di fantasia come tutti gli altri citati in questo articolo), 31 anni, lavora in un centro grafico a Shiraz, è stato arrestato durante le proteste del 2009 e, ammette, non pensava di tornare in piazza adesso: «Il piano dei conservatori era di lanciare una grande protesta contro i riformisti a Mashhad, ma hanno fallito perché non si aspettavano questo effetto domino che si è rivoltato contro il regime. Non me lo aspettavo neppure io. E invece succede che persone di idee opposte fraternizzino in strada. Ogni giorno succede di più, anche se stamattina (ieri per chi legge) ci hanno picchiato fortissimo. Quelli come me, storici sostenitori dei riformisti, hanno capito che l’unica differenza tra i Rohani e i fondamentalisti è nei sorrisi: oggi li vediamo reprimere il popolo tutti insieme. Stanno dicendo che siamo infiltrati dall’estero, che siamo spie, a breve mostreranno finte confessioni in tv, può darsi che ci battano di nuovo ma ormai abbiamo capito e ormai è l’inizio della fine».
Il sesto giorno di rabbia contro il governo si chiude con decine di video che mostrano le forze di sicurezza disperdere brutalmente i manifestanti. Goli, 25 anni, seguiva le proteste da dentro la sua automobile, vicino all’università di Teheran. «La repressione è aumentata, gli agenti sono ovunque – racconta-. Oggi (ieri per chi legge) se ne contavano più degli attivisti, sono armati di bastoni e li usano, hanno colpito il vetro della mia macchina e mi hanno ordinato di andarmene, sono tornata a casa e dopo mezz’ora tremavo ancora dalla paura».
Gli slogan, diretti da subito, si sono fatti sfrontati come le scritte sui muri di Karmanshah, dove si legge «Down with Khamenei», lo stesso impresso dal ’79 sull’edificio dell’ex ambasciata americana a Teheran, «Down with the USA».
«Quando per strada senti gridare “Fondamentalista, riformista, questa è la fine della storia” capisci che la gente intorno a te non ha più pazienza» ci dice Ivan, studente di economia nella capitale. Ha contato meno persone che nei giorni scorsi, ha sentito l’odore della paura vera: «Dal 28 dicembre ogni sera il centro di Teheran si è acceso, adesso è più difficile, ci braccano, le persone tornano a casa ma la rabbia cresce. Qualcuno inizia a chiedere un referendum per cambiare il governo, altri immaginano uno sciopero del pagamento delle bollette: si torna a casa ma non domati».
Non tutti partecipano con lo stesso entusiasmo. La giovane impiegata Nahdal teme che finirà peggio del 2009 e preferisce non uscire. Il 31enne consulente finanziario Amir, emblema di quella classe media che diversamente dagli intellettuali engagé come il regista Asghar Farhadi è rimasta un po’ alla finestra, non si fida dei “sanculotti” affamati di pane ma non diritti. Eppure, la ragazza che sventola il chador da cui si è appena liberata ha fatto scuola: almeno altre due l’hanno seguita chiedendone la liberazione dal carcere, qualcuna potrebbe seguitare oggi, primo “white wednesday” della protesta, l’evento ideato dalla giornalista in esilio Masih Alinejad, ideatrice del movimento contro l’obbligo del velo “My Stealthy Freedom”.
«Non è vero che queste proteste nascono dal nulla – ci spiega Alinejad-. In piazza c’è la voce dei minatori che chiedevano 5 mesi di salari arretrati e sono stati arrestati, quella dei professori in sciopero contro lo stipendio misero silenziata mesi fa, quella di Narges Mohammadi imprigionata perché difendeva le donne sfregiate dall’acido, quella delle ragazze a processo per qualche capello scoperto: il piazza c’è la gente esasperata da 40 anni di regime clericale che ha privato il paese di qualsiasi opportunità». Alinejad ha letto il tweet con cui il ministro degli esteri Zarif si pronuncia a favore delle protesta pacifiche. Una provocazione: «Era pacifica la protesta dell’insegnate Esmail Abdi, del conducente di autobus Reza Shahabi: sono tutti in cella. Erano proteste individuali ma essendo cadute nel vuoto hanno montato l’onda di oggi».