20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Srta

di Massimo Faanco

Il mitico «contratto» è una foglia di fico resistente, capace di incollare qualsiasi crepa nella maggioranza giallo-verde: e di zittire quanti, soprattutto tra i Cinque Stelle, borbottano per l’intesa con la Lega


Gli interessi della maggioranza si stanno dimostrando perfino più frantumati del previsto. L’ambizione di unire quelli che vengono descritti come Nord leghista e Sud grillino in realtà si sta rivelando illusoria. I blocchi sociali non si sovrappongono: tendono a scontrarsi. E in un sistema che distribuisce soldi solo accumulando debiti, e ieri ha ricevuto un’altra reprimenda sulla manovra dalla Commissione Ue, il conflitto tra il mondo di Luigi Di Maio e quello di Matteo Salvini è difficile da comprimere. Si tratti di Tav, gasdotto Tap, reddito di cittadinanza, condono, immigrazione, sicurezza, le contraddizioni sono quotidiane. Se si aggiungono le mire del centrodestra Salvini-Giorgia Meloni sul Campidoglio del M5S, additato come simbolo di immobilismo e cattiva amministrazione, si delineano i contorni della prossima campagna elettorale: da avversari, non da alleati. Ma per ora l’esecutivo non corre rischi. Il mitico «contratto» è una foglia di fico resistente, capace di incollare qualsiasi crepa nella maggioranza giallo-verde: e di zittire quanti, soprattutto tra i Cinque Stelle, borbottano per l’intesa con la Lega e criticano la gestione Di Maio. Permette di nascondere le contraddizioni su Tav e ponte di Genova.

Vertice indebolito
Così, anche se il ministro Danilo Toninelli dà per scontato il blocco dell’Alta velocità, smentendo la cautela del premier Giuseppe Conte, Di Maio richiama «il contratto». E se non basta, si bollano come notizie false quelle sul condono edilizio per Ischia, uno dei feudi elettorali di Di Maio. D’altronde, il M5S confida nell’indulgenza di Salvini, il cui partito è per la Tav e contro il reddito di cittadinanza, ma non può permettersi di alzare la voce. Un vertice indebolito e insidiato dall’interno non può mostrarsi cedevole con un alleato che già lo oscura. Se la pressione esterna dei mercati non aumenta troppo, difficilmente l’equilibrio si spezzerà. Non bastano i richiami dell’Ue sull’indebitamento, né i dati Istat su un’Italia economicamente ferma. E non solo perché non esiste un’alternativa. È passato troppo poco tempo dalle elezioni del 4 marzo per scaricare sull’esecutivo la responsabilità della stasi. È facile, per M5S e Lega, sostenere che quanto accade è figlio dei governi di prima. Seppure improbabile, l’idea di riprendere spinta con una «politica espansiva» non ha controprove. Bisognerà attraversare per intero questa fase, mettendo nel conto un prezzo salato per il Paese. D’altronde, se per qualche ragione la crisi dovesse arrivare prima, nel «contratto non scritto» si indovina già una postilla pronta: non ci hanno lasciato governare. Europa e cosiddetti «poteri forti» si sono opposti alla «manovra del popolo». E, senza un’opposizione degna di questo nome, l’equivoco potrebbe prolungarsi.

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