Ormai una fetta consistente della spesa, pari al 21,4 per cento, viene effettuata direttamente dai cittadini
In sanità il re è nudo ma nessuno sembra volerlo guardare. Oppure, più semplicemente, nessuno vuole affrontare tutto ciò che ne consegue. Un solo numero basta a spiegare il problema: 41.503 milioni di euro nel 2022 sono stati spesi dagli italiani di tasca propria per la salute (direttamente o attraverso assicurazioni, fondi e altro). Considerando che, nello stesso anno, la spesa pubblica è ammontata a 130.364 milioni, la spesa privata rappresenta il 24,1% di tutta la spesa sanitaria (che complessivamente è stata di 171.867 milioni).
Siamo sinceri, su questi numeri possiamo continuare a definire universalistico il nostro Servizio sanitario nazionale? Forse no, o almeno in parte no. Ormai una fetta consistente della spesa viene effettuata direttamente dai cittadini (il 21,4% è infatti out of pocket).
Le soluzioni non sono molte, a rischio di semplificare esistono solo due strade percorribili: la prima è di aumentare in modo importante il fondo sanitario, allineandolo a quello di altri Paesi europei, cosa probabilmente utopistica e di difficile raggiungimento. Peraltro, la sanità, salvo i momenti più acuti della recente pandemia, da molti decenni non è nel cuore dei vari governi che si sono succeduti e comunque le finanze del Paese sono quelle che sono.
L’altra via è quella di accettare una compartecipazione alla spesa proveniente dal privato, come di fatto oggi già avviene. Però, se si volesse percorrere questa strada, bisognerebbe pensare a come governare il sistema, alle possibili integrazioni, a cosa garantire sempre a tutti (per esempio il pronto soccorso, le cure per malattie importanti, i trapianti, e altro ancora) e cosa invece limitare dando spazio a possibili soluzioni diverse, eventualmente anche pianificando livelli di assistenza per fasce di reddito. Un esempio paradigmatico è quello delle esenzioni per patologia, laddove anche chi è multimilionario non paga nulla per la malattia specifica di cui soffre. D’altra parte, è pur vero che con la pressione fiscale che abbiamo, anche il contribuente che è tassato oltre il 40% del reddito vorrebbe gli fossero almeno garantiti i servizi dello Stato, e cosa allora se non prima di tutto la sanità?
Sarebbe importante una riflessione profonda sul nostro Servizio sanitario, al di là di sterili ideologismi, che affrontasse seriamente i tanti problemi di cui soffre e facesse i conti in modo pragmatico con la sua sostenibilità e il suo possibile finanziamento, o il rischio è quello nel quale stiamo già oggi incorrendo: aumentare le disuguaglianze nell’accesso alle cure, un risultato ingiusto, che contrasta con la nostra Costituzione.