Irrilevante in Medio Oriente, l’Unione europea si farà carico dell’Ucraina?
È diventata una litania perenne in Italia, ad ogni grave crisi internazionale. Ieri in Ucraina, oggi in Medio Oriente. Il diffuso piagnisteo per cui l’Europa non conta, l’Europa è irrilevante, di solito ha un sottinteso, un presupposto implicito: l’America ha sempre torto e qualsiasi cosa faccia è l’Impero del Male. Se soltanto noi europei fossimo uniti, forti e decisi, potremmo agire come una forza del Bene e attenuare i terribili effetti della malvagità americana. Il mondo sarebbe un luogo migliore, se una terza forza pacifista, civile, benevola come l’Europa potesse interporsi tra Stati Uniti da una parte, Russia e Cina dall’altra; oppure interporsi tra Israele e Hamas. Già, ma perché questa straordinaria virtù europea continua a vivere solo nel regno dei nostri sogni, e ha così poco impatto sul mondo reale? Perché «l’autonomia strategica» dell’Europa è uno slogan retorico che viene rilanciato ogni tanto da personaggi come Emmanuel Macron, la cui credibilità è ai minimi, e rimane vuota di sostanza?
Israele-Hamas distrae risorse da Kiev
Un test si sta avvicinando a grandi passi ed è di nuovo l’Ucraina. Tra le vittime collaterali della nuova guerra tra Israele e Hamas c’è naturalmente lei. L’attenzione strategica, il capitale geopolitico, le risorse militari dell’America vengono inevitabilmente distratte in parte a favore d’Israele. Intendiamoci, Israele ha una delle industrie belliche più avanzate del mondo e può combattere contando sulle proprie forze. Però se anche il conflitto Israele-Hamas è destinato a durare – come dicono i leader di Tel Aviv – una parte degli arsenali avranno bisogno di attingere anche a nuovi rifornimenti dagli Stati Uniti. La cui capacità non è affatto illimitata, anzi. Sappiamo che in quanto a munizioni, per esempio, già i depositi Usa si sono molto svuotati negli ultimi 18 mesi. La capacità produttiva dell’industria bellica Usa – al di là dei miti – è stata ridimensionata brutalmente dopo la fine della guerra fredda. Quindi Tel Aviv entra almeno in parte in concorrenza con Kiev per drenare risorse militari dallo Zio Sam. Lo stesso vale per quella risorsa immateriale e impalpabile che è l’attenzione politica, il tempo e l’energia investiti dalla squadra di politica estera e militare dell’Amministrazione Biden, che ora deve occuparsi seriamente del secondo fronte mediorientale.
L’altra incognita è l’elezione Usa 2024
A questo aggiungiamo che la campagna elettorale del 2024 riporterà in primissimo piano la corrente isolazionista della politica estera americana. L’isolazionismo ha radici antiche, che risalgono ai Padri Fondatori della Repubblica americana. Nella sua versione più recente lo cavalca Donald Trump. Vista la sua forza nei sondaggi, Trump ha trascinato sulle sue posizioni anche altri repubblicani. Nell’opinione pubblica Usa per la verità l’Ucraina continua a godere di un appoggio sostanziale: più del 60% degli americani sono tuttora d’accordo per sostenere Kiev con aiuti sia economici sia militari. Dentro il partito repubblicano questa percentuale scende al 50%, che comunque non è male. Nella leadership repubblicana è più debole. Il 2024 sarà un anno in cui tutto il resto del mondo dovrà esercitarsi a immaginare cosa cambierebbe nella strategia globale di Washington se Trump torna alla Casa Bianca. Israele non ha ragioni di preoccuparsi; l’Ucraina sì.
Ue, se ci sei batti un colpo
E’ qui che l’Europa, se davvero credesse al proprio ruolo, se davvero volesse costruire una «autonomia strategica», dovrebbe subentrare. L’aggressione di Putin all’Ucraina è una guerra nel cuore del Vecchio continente, non è vicina al confine degli Stati Uniti. La minaccia dell’espansionismo russo è vicina a Varsavia e Berlino, non a Washington. L’Europa vuole e può sostituirsi a un’America in ritirata? Nello scenario più estremo, in cui un Trump 2 cessi gli aiuti a Kiev, le forniture militari europee potrebbero sostituire l’improvvisa mancanza di quelle americane? Al momento è difficile essere ottimisti. C’è un partito degli ottimisti-putiniani, che nutre una speranza: la resa di Zelensky una volta privato del sostegno Usa. Ma questo è un altro scenario, e segnerebbe la sconfitta dell’Europa, non la sua autonomia strategica. L’Europa manca all’appello su tre fronti. Il primo è quello della volontà politica, coesione e leadership. Per costruire un’autonomia strategica bisogna avere una visione unica sul ruolo dell’Europa, sulla risposta da dare a Putin o a Xi Jinping, non 27 visioni nazionali. Bisogna avere un piano, portarlo avanti insieme, con una struttura di comando funzionante. Ma tra la visione polacca del pericolo russo e quella francese le distanze sono abissali. Il secondo problema è industriale: perché l’autonomia strategica sia credibile deve poggiare su una forza militare seria, a sua volta rifornita da adeguate tecnologie e strutture produttive. L’industria bellica europea è sottodimensionata e frammentata. Il terzo problema è al tempo stesso di bilancio e di consenso popolare: difendersi costa. La maggioranza dei paesi europei – Germania e Italia in testa – sono ancora ben lungi dall’avvicinarsi a quell’obiettivo pur minimalista che è il 2% di Pil dedicato alla sicurezza. Le grandi promesse fatte all’inizio della guerra ucraina sono già state dimenticate, o platealmente disattese. Le opinioni pubbliche continuano ad essere adulate da demagoghi che promettono più assistenzialismo, mentre quasi nessun politico osa dire quanto bisognerebbe aumentare le spese per la difesa. Questo tra l’altro vale anche per la sicurezza nel Mediterraneo, la lotta alla criminalità organizzata che gestisce il traffico di persone.
Ucraina nell’Unione? Parliamone…
In un ennesimo e patetico tentativo di aggirare la questione della difesa, gli europei che vogliono continuare a immaginarsi come l’unica superpotenza erbivora della storia, parlano di ammettere l’Ucraina nell’Unione come surrogato al suo ingresso nella Nato. Ma anche questa è una finzione che rischia di dissolversi al contatto con la dura realtà. L’allargamento dell’Unione all’Ucraina avrà dei costi elevati. L’Ucraina ha una vasta agricoltura che prenderebbe dalla politica agricola comunitaria soldi oggi destinati ad altri (soprattutto agli agricoltori francesi). L’Ucraina è una grande nazione povera che succhierebbe fondi per gli aiuti strutturali oggi destinati al nostro Mezzogiorno, alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia, alla Polonia. L’idea che l’Europa possa farsi carico della questione ucraina, in sostituzione di un’America che si ripiega su se stessa, è azzardata. E’ più probabile che un cambio di leadership Usa segnali un «liberi tutti», una fase in cui gli europei saranno ancor meno capaci di pesare sul conflitto ucraino di quanto pesino oggi.
E si preparano delle mini-Nato bilaterali
E’ sintomatico quel che sta accadendo sul versante della difesa. L’Ucraina sta negoziando patti di difesa bilaterali con Stati Uniti, Canada e Regno Unito, cioè tre nazioni anglosassoni nessuna delle quali appartiene all’Unione europea. Questi patti potrebbero, loro sì, diventare dei surrogati o delle soluzioni-ponte in attesa di un’adesione dell’Ucraina alla Nato. Gli accordi bilaterali avvilupperebbero Kiev in una rete protettiva, non solida quanto la Nato ma forse abbastanza credibile. Restano grossi problemi da risolvere anche qui. Per esempio, quanto questi patti bilaterali saranno formalizzati in veri e propri trattati; se includeranno qualcosa che assomigli all’articolo 5 della Nato cioè un impegno vincolante a intervenire in difesa di un alleato aggredito. Il problema più grosso di tutti lo affrontano a Washington: è il tentativo di costruire per Kiev delle tutele americane “a prova di Trump”, cioè difficili da disfare per il prossimo presidente. Un esempio nel campo degli aiuti economici e militari è il progetto di fare approvare al Congresso di Washington – finché c’è la maggioranza adatta – un piano quinquennale che poi verrebbe realizzato a rate. E’ difficile immaginare che esso reggerebbe allo shock di un Trump bis, ma tant’è, ci si prova. La risposta alla domanda iniziale resta sospesa per aria: l’Europa dov’è? I piagnistei sono solo velleitari. Per contare l’Europa deve affrontare delle scelte difficili, pagare dei prezzi elevati, educare le proprie opinioni pubbliche a confrontare un mondo dove le superpotenze circostanti sono tutte carnivore.