Fonte: Corriere della Sera
di Dario di Vico
Dopo molto tempo sindacati e Confindustria si rivedono attorno a un tavolo, però i ritardi si pagano non solo lasciando eccessivo spazio a una politica mediocre e rissosa e anche perdendo il contatto con le trasformazioni
Oggi dopo molto tempo sindacati e Confindustria si rivedranno attorno a un tavolo. È il primo incontro nella stagione della pandemia e arriva con un obiettivo ritardo dovuto al peso delle emergenze, al rinnovo della presidenza degli industriali ma anche a una comune forma di amnesia. È vero che in questi mesi le parti sociali hanno dialogato (con costrutto) per mettere nero su bianco i protocolli per la sicurezza ma si è trattato di sedute tecniche in ambito governativo. Nel frattempo però un’occasione importante l’avevano persa presentandosi in ordine sparso agli Stati Generali e consentendo così al primo ministro di occupare la scena mediatica per una settimana senza produrre niente di veramente utile e che sia rimasto agli atti. Se non svariati album di foto. I ritardi però si pagano e infatti in questi mesi si sono accumulati i problemi irrisolti tanto che se si volesse stilare una lista ad uso e consumo della riunione di oggi non si finirebbe così presto. Si andrebbe dai rinnovi contrattuali ai criteri della rappresentanza, dalla gestione delle crisi aziendali alla riforma degli ammortizzatori sociali per finire poi alla definizione delle priorità di investimento del Recovery fund. Su tutte queste materie manca non solo una posizione comune delle parti sociali ma persino un lavoro preliminare tra gli sherpa. Con il risultato che anche in questo caso la scena è stata lasciata totalmente agli show di Conte e alle invenzioni di politica sociale dei vari Catalfo, Tridico e Parisi. I vuoti del resto non restano a lungo tali, vengono riempiti.
Dunque non bisogna essere dei nostalgici della concertazione per osservare come il ruolo delle parti sociali sia oggi del tutto marginale, il che suona abbastanza singolare in un momento storico in cui politologi, filosofi, giuristi e persino businessmen enfatizzano il valore strategico della mediazione, della comunità e della responsabilità sociale. Eppure i corpi intermedi non sono riusciti nemmeno a rivendicare davanti alla politica e al Paese intero il piccolo miracolo di aver riaperto le fabbriche, di aver contenuto al minimo i contagi sui luoghi di lavoro, di aver rilanciato la manifattura permettendole di non perdere il ritmo delle grandi catene internazionali.
I ritardi si pagano non solo lasciando eccessivo spazio a una politica mediocre e rissosa ma anche perdendo il contatto con le trasformazioni. Basti pensare al rilievo che lo smartworking sta assumendo nel ridisegnare la vita di milioni di lavoratori, nel modificare le organizzazioni produttive e la funzione delle gerarchie, nel rimodellare le stesse città, per avere sottomano un bignami della rivoluzione in atto. Il lavoro da remoto è una realtà con cui conviviamo da un semestre eppure le parti sociali non hanno trovato il tempo per discuterne ed elaborare una visione comune. Così come non si è trovato il modo di aprire una seria istruttoria su quanto va sostenendo da mesi con continuità ammirevole un’autorità «terza» come il governatore Ignazio Visco: senza recuperare produttività non andremo da nessuna parte.
Solo un inguaribile ottimista penserebbe però che l’incontro di oggi possa rimediare magicamente alle amnesie di mesi ma un’inversione di marcia quella sì, la si può chiedere ai protagonisti. Nelle forme e modalità che saranno capaci di escogitare. Un contributo particolare poi sarebbe auspicabile che venisse dalla Cgil. Dall’esterno l’impressione è che nella maggiore confederazione al culto del dialogo tra le parti sociali si sia affiancata o addirittura sostituita l’idea di poter ottenere di più lasciando la mesta compagnia e privilegiando l’azione di governo. È da tempo, ad esempio, che i sindacati non redigono documenti comuni. L’ipotesi di sostituire lo spazio autonomo dei corpi intermedi con una qualche forma di collateralismo al governo amico ha fatto molte volte capolino nella storia del sindacalismo italiano ma non ha portato mai grande fortuna. Il piatto di lenticchie non ha giustificato la rinuncia alla primogenitura e infatti i risultati migliori sono stati raggiunti quando si è puntato sull’autonomia e la contrattazione.