Fonte: Corriere della Sera
di Mauro Magatti
Per gestire la complessità sociale contemporanea non bastano scienza e burocrazia e il presidente francese è l’unico leader che lavora per ricostruire le basi europee
Gli ultimi sondaggi lo danno in rialzo dopo la forte riduzione registrata nel corso dell’estate e oggi più del 50% dei francesi ne ha un’opinione positiva. Non che non ci siano perplessità o nubi all’orizzonte. La legge sul lavoro, ad esempio, rimane uno scoglio difficile da superare. Eppure, avviandosi verso la conclusione del suo primo anno presidenziale, Macron dimostra che uno spazio per la politica ancora c’è. A condizione che si sia disposti a giocarsela fino in fondo nella costruzione di un equilibrio nuovo tra tecnica e politica, tra economia e società.
La linea di Macron è ben leggibile nel caso dell’Europa. La contraddizione dell’Unione costruita negli ultimi 20 anni è l’idea di perseguire una crescente integrazione senza caratura politica. In questa prospettiva, la Ue è nata e si è sviluppata potenziando gli elementi di governance legati a criteri di efficienza istituzionale. Dietro c’è un’idea per la quale tutto può e deve essere regolato e governato solo per via tecnica e burocratica. Senza esposizione sul senso politico dell’unificazione né sugli equilibri politici consolidati dalla storia. Le lunghe incertezze sul modo di gestire la crisi finanziaria negli anni appena trascorsi (con i pesanti costi sociali e politici che ne sono conseguiti) hanno mostrato tutti i limiti di tale impostazione. Alla fine, solo il via libero tedesco a Draghi (cioè una decisione politica) ha aperto la strada all’utilizzo degli strumenti tecnici necessari per uscire dalla palude nella quale eravamo finiti.
Il problema è che – come in questi ultimi anni è diventato sempre più evidente – per quanto possano molto, la tecnica, l’economia, la burocrazia da sole non ce la fanno a gestire la complessità sociale contemporanea. Anche se in forma nuova rispetto al passato, c’è bisogno di politica. Che infatti è tornata prepotentemente, anche se disordinatamente, in campo. Di fatto, in questo momento l’unico leader politico che sta cercando di lavorare per ricostruire le basi europee è il presidente francese. Fin dal discorso di investitura, Macron ha fatto dell’Europa uno degli assi portanti della propria azione.
Secondo Régis Debray, ciò è dovuto al debito che Macron ha con Paul Ricoeur, uno dei principali filosofi francesi, per il quale non c’è politica senza visione. Senza utopia addirittura. Su questa linea Macron cerca di tracciare una via che salvi il destino della Francia nel quadro di un rilancio dell’Europa. In effetti, il leader francese sta cercando di dare un contenuto al progetto europeo, tratteggiandolo nei termini di un modello di civiltà. Un’Europa, cioè, vista prima di tutto come una terra dove le libertà individuali, lo spirito democratico e la giustizia sociale si sono integrate al punto da permettere di raggiungere risultati impensabili altrove. E il cui futuro non si può dare rinunciando ad aggiornare tali valori in rapporto alle sfide della contemporaneità. Ivi inclusa la questione dell’accoglienza dei rifugiati. L’attivismo di Macron è instancabile. E, cercando persino di influenzare la transizione politica in corso in Germania e in Italia, propone intese bilaterali che possano aiutare anche gli stessi interlocutori politici a cui si rivolge, in vista di creare le condizioni politiche per agire nei prossimi anni.
Nessuno sa se la scommessa politica del leader francese avrà successo. Soprattutto se saprà calibrare il giusto mix tra pragmatismo tecnocratico – di cui è certamente espressione – e visione politica, di cui, come si è detto, non si vuole privare. Certo è che – appannati sia la Merkel che Renzi – Macron sembra l’unico in grado di provare a tracciare una via per uscire dalla oscillazione tra populismo e tecnocrazia nella quale siamo bloccati. Ciò significa sforzarsi di recuperare senso politico senza rifiutare la tecnica. Ma semmai cercando di strutturare gli apparati che sono indispensabili per il funzionamento di una società avanzata al servizio di una visione politica. Ma ciò richiede preparazione, tempismo e visione. L’alternativa è quella di rassegnarci, come ci stiamo abituando a pensare, che l’unico spazio di azione politica sia quello di elencare una serie di cose che gli elettori possono desiderare attraverso rilanci comunicativi sconnessi da parte di leader in lotta per conquistare l’ultimo voto. Si dirà che se non si fa così non si vincono le elezioni. Il che può anche essere vero. Ma rimane l’impressione che, dietro la sfiducia diffusa, vi sia una larga maggioranza di elettori che avrebbe voglia di guardare avanti. Che capisce che siamo alla fine di un’epoca e che una nuova stagione sta per cominciare. Per il meglio o per il peggio. E che è in attesa di qualcuno di credibile per essere accompagnata verso il futuro. Chi si vuole candidare al governo dell’Italia non dimentichi questa sfida.