19 Settembre 2024
Francia Macron

Intervento congiunto su 4 giornali: «Pericolose conseguenze» per Israele in caso di una offensiva a Rafah. Emmanuel Macron si «smarca» rispetto alle posizioni tedesche

Il presidente francese Emmanuel Macron, il presidente egiziano Abdel al-Sisi e il re giordano Abdullah II chiedono a Israele un cessate il fuoco immediato e a Hamas la liberazione di tutti gli ostaggi a Gaza, avvertendo poi Israele delle «pericolose conseguenze» di un’offensiva a Rafah.
«La guerra a Gaza e le catastrofiche sofferenze umane che sta causando devono cessare immediatamente», si legge nell’intervento firmato dai tre capi di Stato pubblicato su quattro giornali in Francia (Le Monde), Stati Uniti (Washington Post), Giordania (Al-Rai) e Egitto (Al-Ahram).
I negoziatori di Stati Uniti, Egitto, Qatar, Israele e Hamas si sono incontrati domenica al Cairo per l’ennesimo tentativo di raggiungere una tregua che preveda il rilascio degli ostaggi. Ci sarebbero progressi significativi nei colloqui ma il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato lunedì che è stata già fissata una data per l’offensiva su Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, nonostante l’opposizione degli Stati Uniti e di altri alleati occidentali, tra i quali la Francia.
Nell’articolo, Macron, Sisi e Abdullah chiedono inoltre un «massiccio aumento della fornitura e della distribuzione di aiuti umanitari» a Gaza perché «la carestia per i palestinesi non è più solo un rischio, sta già avvenendo».
I tre leader poi tornano a sostenere la soluzione dei due Stati per risolvere una volta per tutte il conflitto israelo-palestinese, nonostante questo esito sia esplicitamente scartato dal governo israeliano. «Nessuna pace in Medio Oriente può derivare dal terrorismo, dalla violenza o dalla guerra. Essa deriverà dalla soluzione dei due Stati», si legge nel testo, che esorta poi Israele a porre fine alle «attività di colonizzazione» e alla «confisca delle terre» e a «prevenire la violenza dei coloni».

Perché Macron ha deciso di scrivere una lettera con Egitto e Giordania
La scelta dei leader di Francia, Giordania e Egitto di pubblicare una lettera congiunta per esporre la propria posizione sul conflitto di Gaza sembra da un lato una sorta di ammissione di impotenza dei canali diplomatici tradizionali, e dall’altro risponde alla volontà di rivolgersi alle proprie opinioni pubbliche. Scegliendo una posizione comune con Egitto e Giordania, i due Paesi arabi che per primi hanno stipulato la pace con Israele, Macron sembra volere prendere chiaramente parte per le ragioni del mondo arabo-musulmano vicino agli Occidentali e opposto al fronte del rifiuto (formato da Iran, Siria e i loro alleati Hezbollah e Houthi), e distanziarsi allo stesso tempo ormai in modo chiaro e netto dal governo di Israele.

Lo «strappo» con la Germania
Il fatto che Macron abbia firmato un testo con Giordania e Egitto e non con gli altri Paesi dell’Unione europea è eloquente, e mostra le divisioni profonde che esistono all’interno dell’Ue, in particolare tra Francia e Germania.
La situazione a Gaza sembra un’occasione ulteriore di disaccordo tra Parigi e Berlino, e un altro motivo di difficoltà del «motore franco-tedesco» dell’Europa, ormai in crisi da mesi. Proprio mentre Macron fa un altro passo per prendere le distanze da Israele e dai massacri in corso a Gaza, questo martedì la Germania deve difendersi presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aja dalle accuse di «favorire il genocidio a Gaza fornendo armi a Israele».
Il Nicaragua ha portato il caso contro la Germania alla Corte dell’Aia. Nelle udienze che si sono aperte lunedì, il Nicaragua ha sostenuto che la Germania sta facilitando «la commissione del genocidio contro i palestinesi di Gaza fornendo a Israele aiuti militari e finanziari», e ha chiesto misure d’emergenza che spingano il governo tedesco a interrompere il suo sostegno bellico a Israele.
Berlino nega di aver violato la Convenzione sul genocidio e si difende oggi all’Aja con una delegazione di avvocati internazionali. La Germania è il secondo fornitore di armi di Israele dopo gli Stati Uniti, e nel 2023 ha approvato esportazioni di armi verso Israele per un valore di oltre 300 milioni di euro, una somma circa 10 volte superiore a quella approvata l’anno precedente. «L’esistenza di Israele è per noi una questione di Stato», ha dichiarato Katrin Göring-Eckardt, vicepresidente del Parlamento tedesco, evocando la «speciale responsabilità della Germania nei confronti di Israele» dopo la Shoah. L’appoggio incondizionato della Germania a Israele non facilità la formazione di una posizione comune europea, soprattutto considerate le opposte sensibilità in altri Paesi.

La Francia verso il riconoscimento dello Stato palestinese?
Il capo della diplomazia europea, lo spagnolo Josep Borrell, peraltro largamente ininfluente e sorpassato da iniziative come quella di Macron con Sisi e Abdullah, è ancora più duro di Macron nelle sue critiche a Israele, ed è arrivato nei mesi scorsi ad accusare Israele di avere «creato» e «finanziato»il movimento islamista Hamas, responsabile degli attacchi terroristici del 7 ottobre che hanno scatenato la risposta israeliana.
In senso opposto alla direzione della Germania, si fa largo in molti Paesi europei l’idea di riconoscere lo Stato palestinese.
Giovedì 4 aprile il premier spagnolo Pedro Sanchez ha assicurato che agirà «il prima possibile, quando ci saranno le condizioni e in modo tale che questa decisione abbia l’impatto più positivo possibile», mentre il suo ministro degli Esteri, José Manuel Albares, ha reso noto anche il termine del 1° luglio entro il quale il riconoscimento verrà proclamato.
Dieci dei ventisette Stati membri dell’Unione europea già riconoscono lo Stato palestinese, in maggioranza gli ex Paesi dell’orbita sovietica. Dalla caduta del muro si è aggiunta solo la Svezia, nel 2014. Oltre alla Spagna, anche Irlanda, Slovenia e Malta hanno annunciato la loro volontà di riconoscere la Palestina in una lettera del 22 marzo, e la Francia potrebbe seguire dopo che Macron ha dichiarato a fine febbraio «il riconoscimento di uno Stato palestinese non è un tabù».

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