Fonte: Corriere della Sera
di Massimo Franco
Maggioranza e opposizione restano appese all’esito del voto regionale del 26 gennaio in Emilia-Romagna
Rinviare ogni decisione a fine gennaio: per scelta e per necessità. Sebbene lo neghi, la maggioranza sa che le elezioni in Emilia-Romagna e in Calabria, ma soprattutto le prime, rappresentano uno spartiacque per il governo tra M5S e Pd. Abbozzare un’agenda per il resto della legislatura senza sapere quali equilibri emergeranno da lì, dunque, sarebbe inutile. Se la sinistra vincerà la sfida con la destra guidata dalla Lega, godrà di margini di manovra anche psicologica in grado di spingere avanti l’esecutivo. Se dovesse prevalere Matteo Salvini con Giorgia Meloni, il contraccolpo sarebbe inevitabile. È significativo, e comprensibile, che il capo del Carroccio e la leader di Fratelli d’Italia annuncino di voler chiedere le elezioni, se il 26 gennaio espugneranno la storica «regione rossa». Potranno dichiarare che la coalizione di Giuseppe Conte non rispecchia il Paese. E, per quanto le Camere si sciolgano solo in assenza di una maggioranza parlamentare, e quel voto sia locale, sarebbe un ottimo argomento da campagna elettorale. È la conferma che anche le opposizioni aderiscono allo schema del rinvio; e che l’orizzonte lungo il quale tutti si muovono continua a essere appena di settimane.
Effetto imprevedibile
Il premier annuncia il rilancio della propria coalizione «a fine mese». In Parlamento la maggioranza tenta di rinviare ad allora tra le proteste la decisione sul processo a Salvini per la nave dei migranti Gregoretti. E il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, rinvia al dopovoto la possibile metamorfosi del partito. D’altronde, l’Emilia-Romagna è anche la culla del fenomeno delle cosiddette «sardine». E presto si dovrebbe capire se e quanto incideranno sull’esito elettorale. Sulla carta, sono un movimento ostile a Salvini. Ma Zingaretti sta attento a non dare l’impressione di volerle strumentalizzare. A questo si aggiunge l’incognita del voto cattolico. La conferenza episcopale dell’Emilia-Romagna, guidata dal cardinale Matteo Zuppi, vicinissimo a Francesco, cerca di mettere in guardia contro il sovranismo e l’antieuropeismo. Ma non è prevedibile l’effetto che l’appello potrà avere. Lo stesso capo delegazione del Pd, il ministro Dario Franceschini, sa che parlare di «collante di una prospettiva politica» è prematuro. Per imbastire un vero dialogo, sempre che sia possibile con un M5S in progressivo disfacimento, sarà necessario aspettare almeno un paio di settimane. Nell’attesa, Conte cerca di tamponare almeno il fronte della politica estera. Il suo invito a Palazzo Chigi rivolto a tutti i partiti per discutere la situazione in Libia e Medio Oriente risponde all’esigenza di arginare gli attacchi dall’interno. «Le opposizioni», osserva il premier, «hanno diritto di sapere come il governo si sta muovendo».