23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Luciano Floridi

Servono buona volontà, intelligenza e operosità per rimpiazzare le politiche della paura e dell’interesse con quelle della speranza e della solidarietà


La democrazia italiana è malata di populismo. Capire come è successo è importante, per non ricaderci. Ma per la cura serve una terapia nuova, non rimpianti, recriminazioni, o rimorsi. Spero che chi ha perso le ultime elezioni lo sappia. Ecco allora alcuni suggerimenti sul da farsi. Anzitutto, la democrazia italiana soffre di «resistenza batterica» alla democrazia stessa. Dal secondo dopoguerra in poi, la democrazia è stata l’antibiotico per curare ogni problema politico.
La Corea del Nord sta malissimo? È perché manca un minimo di democrazia. I diritti umani non sono rispettati in Cina? Più democrazia. E che cosa si può fare in Russia se non rincarare la dose di democrazia? Così quando è la stessa democrazia ad essere malata, in questo caso di populismo, la tentazione è aumentare la dose, a colpi di piattaforme online, referendum, o tweets. Si vagheggia una democrazia diretta e istantanea, ad alzata di mano su tutto. E così si finisce nella tirannia volatile di maggioranze estemporanee, confondendo la politica, che è collaborazione, con l’agonismo, che è competizione. Tutto ciò è inefficace e aggrava il danno del populismo. La soluzione diventa parte del problema.
Oggi Paesi come l’Italia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti sono diventati resistenti alla democrazia-antibiotico. Bisogna cambiare cura. Ma il rischio è cadere nell’altra tentazione, l’illiberalismo. Le democrazie illiberali vanno di moda, in Ungheria, Russia, Singapore, o Turchia. La democrazia è ormai resistente a ulteriori dosi di democrazia, e si vede nell’illiberalismo una soluzione. Nulla da obbiettare sull’efficacia dell’intervento, perfettamente riuscito, peccato che purtroppo il paziente è morto. Perché l’illiberalismo magari riesce a difendere una qualche forma di pacificazione e sicurezza sociale, ma finisce per soffocare la tolleranza, la libertà, e la giustizia, valori fondamentali che ogni democrazia nasce per difendere. La terapia non è più democrazia, che aumenta il populismo, o meno democrazia, che aumenta l’illiberalismo, ma una democrazia migliore, che sia antipopulista e liberale, per contrastare la dittatura della maggioranza e rappresentare, difendere, e riconciliare gli interessi legittimi di tutti, anche delle minoranze. Quindi la prima prescrizione è: servono tutti i buoni, ovunque siano.
Il secondo malanno cronico è che la democrazia italiana soffre di circolo vizioso. Tanto peggio sta la democrazia, tanto meno fiducia si ha nella politica, tanto più la società civile si distacca dalle istituzioni e si disinteressa della gestione pubblica, cercando di farsi gli affari suoi, aggravando ulteriormente la salute della democrazia e della politica. In realtà questo è un segno di reazione salutare. Il corpo sociale è vivo, e il suo dolore fa ben sperare per la terapia. Perché in Italia esiste un’enorme riserva di buona volontà, di capacità ed esperienza sociali. Lo dimostrano gli oltre sei milioni e mezzo di volontari. Il guaio è che questa riserva ritiene la politica una cosa deprecabile. Nel migliore dei casi adotta il «si salvi chi può», e nel peggiore il così detto voto di protesta. Ma il rifugio nella società civile è autolesionistico, come ignorare qualche mascalzone dall’altra parte del Titanic, e controproducente, perché distrae dal cercare di trovare una soluzione che eviti il disastro. Perciò parte della terapia consiste nel trasformare la rabbia e il disgusto in forza e passione nel promuovere una società migliore. La seconda prescrizione è: coinvolgere tutti i buoni nella politica.
Arriviamo al terzo problema: oggi alla democrazia, non solo italiana, manca l’ossigeno di un progetto umano per il ventunesimo secolo. La generazione passata aveva un Paese da ricostruire, una democrazia costituzionale da fondare, un boom economico e un benessere diffuso da perseguire. Ora che questi traguardi sono più o meno raggiunti, siamo delusi dal «più» e frustrati dal «meno». Un futuro incerto e piatto, non dissimile dal presente, deprime o irrita, ma non può galvanizzare. Manca qualcosa che ci entusiasmi veramente, un mondo al quale ambire e che vorremmo costruire insieme. Non si vive di solo mutuo. Per questo i fondamentalismi sono una grande tentazione. A diciott’anni si può vagheggiare di morire imbracciando un kalashnikov, non per la prossima versione dell’iPhone. La terapia deve partire da un progetto umano in comune, degno dell’impegno di tutti. Terza prescrizione: i buoni devono disegnare insieme un progetto umano comune.
Tiriamo le fila. La parola che spesso si associa a «crimine» è «organizzato». I cattivi in genere si organizzano perché condividono un interesse chiaro e forte, e la mancanza di scrupolo nel perseguirlo. I buoni sono disorganizzati, perché hanno interessi molteplici e spesso conflittuali, e sono tolleranti nel rispettarli. Ma allora come si fa a far vincere i buoni? Serve una forza più trascinante dell’interesse, e un’urgenza che porti al naturale superamento del disaccordo. Questa forza si chiama speranza, che è diversa dall’illusione, e l’urgenza è fornita dalla stessa malattia del populismo. È ora che i buoni si organizzino, per dare una mano a sconfiggere il populismo rampante. Perché non è vero che «tutto aiuta». Solo un tutto organizzato fa la differenza, come quando si spinge l’auto che non parte, tutti insieme. Quarta prescrizione: i buoni si devono coordinare.
Organizzare la buona volontà, l’intelligenza, e l’operosità per rimpiazzare le politiche della paura e dell’interesse con le politiche della speranza e della solidarietà. Non so se per aiutare i buoni ad aggregarsi e coordinarsi serva un nuovo «partito aperto», o basti riformare uno vecchio. Ma so che bisogna smettere di litigare, e che serve un‘interfaccia che accolga tutte le buone volontà e le tante competenze, per far interagire la società civile con la vita politica e la gestione dello Stato. La malattia è seria. La terapia è urgente. La cura non sarà né facile né rapida. Perciò prima i buoni iniziano a fare sul serio meglio è.

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