19 Settembre 2024

È del tutto comprensibile, che tante persone ignorino la relazione che c’è fra gli assetti del mondo e la loro personale esistenza. Ed è normale voltare la testa dall’altra parte. Spetta ai leader dire la verità , preparare le persone a ciò che li attende

Quando esplode una crisi così grave da segnare una cesura radicale con il passato, è una comprensibile forma di autoinganno raccontarsi che, non appena la temperie attuale sarà superata, tutto ricomincerà come prima, si potrà tornare alla «normalità». Intendendo per normalità la vita che si conduceva prima che la crisi si manifestasse. Le divisioni alimentate in Italia, e comunque in Italia con particolare intensità, dalla invasione russa dell’Ucraina non sono soltanto una dimostrazione della forza del partito anti- americano e dell’elevato numero di coloro c he detestano istituzioni e simboli della democrazia occidentale.
Forza e numeri la cui consistenza può stupire solo coloro che ignorano la storia di questo Paese, la sua antica, faticosa coabitazione fra opposte visioni del mondo. C’è anche, a malapena celato dalle divisioni ideologiche, qualcosa d’altro: una sorta di rimozione, di negazione della realtà che nasce da un diffuso desiderio di rassicurazione collettiva. Quale persona ragionevole può diss entire quando sente invocare la cessazione delle ostilità? Però alcuni, e forse non pochi, fra coloro che chiedono la fine della guerra hanno l’aria di sottintendere anche altro. Hanno l’aria di credere, o di fingere di credere, che, una volta che le armi tacciano, il mondo (il nostro mondo) possa tornare ad essere quello di prima. Chi sottintende ciò pensa, o finge di pensare, una cosa manifestamente falsa.
Quando in Ucraina taceranno le armi (ma non finiranno certo le ostilità: nella migliore delle ipotesi, ci potrà essere, prima o poi, solo una tregua armata), tanti che oggi rifiutano l’idea, dovranno riconoscere che sono definitivamente cambiate le condizioni internazionali e che ciò avrà rilevanti conseguenze per le loro stesse vite.
In Europa la guerra ucraina ha definitivamente certificato la fine dell’assetto e degli equilibri sorti con la disgregazione dell’Unione Sovietica nel 1991 e successivamente indeboliti, una picconata alla volta, dall’aggressione russa in Georgia (2008) e poi in Crimea e Donbass (2014). Forse un giorno si affermerà un nuovo sistema di sicurezza europeo condiviso e garantito dalle grandi potenze. Ma ci vorrà tempo e, probabilmente, anche un cambiamento, al momento non ipotizzabile, poco plausibile, nel sistema di potere vigente in Russia. Fino ad allora si dovrà convivere in Europa con lo spettro e il rischio di nuovi e più allargati conflitti.
E c’è di più. Il disfacimento del sistema di sicurezza europea a cui la guerra in Ucraina ha dato la spallata definitiva è parte di un più generale processo di indebolimento del mondo occidentale. Per il declino relativo della potenza americana, per l’emergere di un multipolarismo su scala globale: un mondo (per noi) assai più pericoloso del passato a causa dell’alto numero di potenziali predatori con forti appetiti e dell’incertezza che la fluidità delle alleanze tipica degli assetti multipolari porta con sé. A ciò si deve aggiungere la fase di gravi difficoltà che stanno attraversando le democrazie occidentali (gli Stati Uniti ma anche i Paesi europei, Francia e Italia in testa) le quali vacillano sotto la spinta delle forti divaricazioni e polarizzazioni interne. E ciò rafforza nei dirigenti russi e cinesi l’idea che quello occidentale sia un mondo in decadenza, destinato prima o poi alla sottomissione.
Certo, le società occidentali hanno risorse, materiali e spirituali, che le società autoritarie non hanno. Nel lungo periodo, ciò può dare loro un vantaggio decisivo nella competizione con le grandi autocrazie. Ma non senza prima passare sotto le forche caudine, non senza un confronto che sarà lungo, duro e faticosissimo con le suddette potenze.
È del tutto comprensibile, naturalmente, che tante persone ignorino la relazione che c’è fra gli assetti del mondo e la loro personale esistenza. Inoltre, il fatto che siano in arrivo tempi aspri non può fare piacere a nessuno. È normale voltare la testa dall’altra parte, negare la realtà. Spetta ai leader dire la verità, preparare le persone a ciò che li attende, alla necessità di adattarsi a condizioni di vita meno facili di quelle di un tempo.
Questo è un punto dolente. Perché i leader, dalle nostre parti almeno, sono pochi. Qualcuno c’è ma sono comunque pochi. Diversi fra coloro che oggi vengono chiamati leader sono in realtà dei follower, non guidano niente (al massimo sono i coordinatori della loro fazione), si limitano a dire e a fare ciò che essi pensano piaccia ai loro seguaci o supposti tali. Ha osservato Alessandra Ghisleri (su La Stampa) che Enrico Berlinguer non avrebbe mai potuto fare la sua famosa dichiarazione a favore della Nato se si fosse attenuto a ciò che dicevano i sondaggi. Aggiungo che forse De Gasperi non avrebbe fatto la scelta atlantica se si fosse preoccupato degli umori di molti presenti nel suo partito e nel mondo cattolico. Altri tempi e altre tempre, certo.
Resta, tuttavia, che il coordinatore-follower è sopportabile in tempi facili. La sua azione diventa nefasta in tempi difficili. Perché egli, impegnato come è ad accarezzare il pelo del gatto dal verso giusto, rafforza, con i suoi messaggi, la tendenza, di per sé naturale e comprensibile, ma assai pericolosa, alla negazione collettiva della realtà.
La nostra democrazia, con i suoi deboli partiti e con le sue istituzioni di governo parimenti deboli, non è attrezzata per fronteggiare in sicurezza i tempi difficili che ci attendono. I dirigenti (o supposti tali) delle principali formazioni politiche dovrebbero avere l’intelligenza di capirlo e cercare i mezzi per rafforzare le istituzioni della Repubblica. La prima cosa da fare, se ci si mette su quel cammino, per ottenere il consenso necessario, è spiegare ai cittadini, senza infingimenti, come sono davvero cambiate le cose del mondo, e dunque anche le nostre.
Per la tradizione umanistica italiana, il politico di valore, quello che meglio di tutti è atto a governare, deve possedere alcune qualità che gli derivano dalla conoscenza delle cose del mondo. Evitando le pedanterie limitiamoci a dire che diversi politici, e anche certi commentatori, dovrebbero procurarsi, con una certa urgenza, ciò di cui oggi sembrano sprovvisti: un po’ di senso della storia.

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