22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Sabino Cassese

l documento ratificato dal Senato in quattro giorni è la sagra del corporativismo, un coacervo di misure che accollano alle generazioni future un forte debito aggiuntivo

Il bilancio di previsione dello Stato italiano per il 2021, che il Senato è stato chiamato ratificare in quattro giorni, è la sagra del corporativismo. 450 pagine (senza contare le tabelle), 20 articoli, il primo suddiviso in 1150 commi, è solo formalmente un provvedimento unitario. Vi dominano il settorialismo e la non-pianificazione. L’Ufficio parlamentare di bilancio l’ha definito un coacervo di misure senza un disegno, un collage di interventi pubblici di favore. È il frutto di «euforia da deficit» (Carlo Cottarelli, Repubblica, 24 dicembre): infatti, per 24,6 miliardi è finanziato in deficit e porta il disavanzo complessivo al 10,8 per cento e il debito al 158 per cento del Prodotto interno lordo. Questo repertorio indigesto di norme definisce la complessa nozione di «ristorante italiano», nonché il difficile concetto di «preparazione alimentare», e istituisce la «Conferenza nazionale – Stati generali della ristorazione italiana nel mondo», spingendosi a regolare e finanziare cori, bande e musica jazz, corsi di «formazione turistica esperienziale», recupero della fauna selvatica, veicoli di interesse storico e collezionistico, bonus idrico, l’ottavo centenario della prima rappresentazione del presepe, il voucher per occhiali da vista, fino al «piano nazionale demenze». Persino il ministro dell’economia e delle finanze ha riconosciuto che si tratta di spese «troppo settoriali e specifiche» (voleva forse dire inutili e avrebbe dovuto dire illegittime, perché inserite nella legge di bilancio). Gli autori non hanno, evidentemente, avuto paura del ridicolo. Ma c’è di molto peggio, come la moltiplicazione di uffici dirigenziali, l’assunzione di nuovo personale nei ministeri e di idonei non vincitori di concorsi e di lavoratori «socialmente utili», purché abbiano superato la sola scuola dell’obbligo (provvedimenti accolti con entusiasmo dal M5S, che poi lamenta la scarsa qualità della pubblica amministrazione), decine di elargizioni e mance, la istituzione di molti fondi e la previsione di finanziamenti fino al 2036, così parcellizzando il bilancio e irrigidendolo. Questo fritto misto è poi scritto in modo difficilmente comprensibile: ad esempio, sono numerosi i periodi che contengono sei o più rinvii ad altre leggi. Chi l’ha redatto, forse per evitare di doversi vergognare, ha cercato di nascondersi dietro i peggiori arzigogoli normativi. Come si è potuto arrivare a tanto? Il governo è partito, in ritardo di un mese, con una proposta zeppa di mance (229 articoli). Le opposizioni hanno proposto 250 emendamenti. La Ragioneria, con 34 pagine di rilievi, ne ha bocciati 80. Ma la legge di bilancio è passata tra gli scogli di un rimpasto e quelli di una crisi (il M5S non ha votato il rinnovo del contratto di programma sulla Tav, passato con il voto dell’opposizione). Secondo una consuetudine, vi erano «risorse assegnate alla gestione parlamentare» (Luigi Marattin, presidente della Commissione finanze della Camera dei deputati, Il Foglio, 16 dicembre), quelle usate dai governi per tacitare le voci più critiche delle opposizioni. Da 800 milioni, queste sono lievitate a 4,6 miliardi, con cui il governo ha comprato la benevola neutralità dei parlamentari (anche) di opposizione. Il relatore di maggioranza ha parlato di «proficua triangolazione istituzionale tra maggioranza, opposizione e governo». Il leader della Lega ha esultato: «seppure all’opposizione, il centrodestra ha ottenuto misure per 10 miliardi» (Corriere della sera, 22 dicembre). Così l’opposizione «non è stata pregiudizialmente contraria»: «ci siamo confrontati rispettandoci», ha detto in Parlamento un autorevole deputato di opposizione. Le proposte di quest’ultima, salvo gli interventi per lavoro autonomo, digitalizzazione, emergenze, sono state «frammentate in piccoli interventi da qualche milione di euro, per rinsaldare l’unico meccanismo di selezione che conti, un bacino elettorale (territoriale o settoriale) in grado di garantire la rielezione» (così il presidente della Commissione finanze della Camera, già citato). Insomma, la maggioranza, divisa al suo interno, ha superato il potere di interdizione delle opposizioni accattivandosele con la distribuzione di risorse destinate alle loro constituencies, ma a spese della collettività e di coloro che, in particolare, dovranno pagare domani, con le tasse, il peso del debito aggiuntivo. Ora, il dialogo governo – opposizioni è utile, anzi necessario, ma non se si svolge danno del Paese, che ne paga il costo. Come ha dichiarato il vice ministro dell’economia Misiani, le risorse a disposizione delle opposizioni non erano mai tanto lievitate come quest’anno. Il bilancio 2021 accolla alle generazioni future un debito aggiuntivo, acceso per finanziare in larga misura spese correnti, senza lasciare, a loro beneficio, almeno una dotazione di beni in conto capitale (scuole, ospedali, verde attrezzato, linee ferroviarie, uffici pubblici meno decrepiti). Tutte queste elargizioni si aggiungono ai numerosi «Decreti ristori» e alle ulteriori spese del «Milleproroghe» e graveranno su anni dopo il 2022 (o il 2023), quando finirà la sospensione dei vincoli del patto di stabilità. Come si spiega questa apoteosi del corporativismo in salsa populista? La chiave l’ha fornita qualche anno fa il nostro maggior sociologo, Alessandro Pizzorno, riprendendo da Bagehot la metafora del teatro, sul cui palcoscenico si svolge la funzione gladiatoria dei partiti e prevale la politica simbolica, mentre dietro le quinte agiscono gli interessi concreti e i soggetti che ne sostengono le domande, brokers, lobbies e organizzazioni di categorie, in un circuito coperto, dominato dagli interessi a breve termine. Insomma, il contrario di un discorso politico aperto.

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