Il premier non vorrebbe cambiare metodo di lavoro, ma attende che tutti i capi partito si esprimano sulla proposta di Letta. Il segretario Dem punta a rasserenare il clima anche in vista del voto per il Quirinale
Non è ancora arrivato il momento di decidere. Mario Draghi attende, sfoderando una cautela che si mescola al dubbio. Attende innanzitutto di capire se i leader di maggioranza – tutti, nessuno escluso – si esporranno in prima persona, chiedendo un vertice per mettere in sicurezza la manovra. Attende di verificare se sono d’accordo con la proposta di Enrico Letta. Alcuni, tra loro, non hanno ancora parlato. Non Matteo Renzi, che si limita a far esporre Ettore Rosato per Italia Viva. E soprattutto, neanche Giuseppe Conte. Se lo faranno, il presidente del Consiglio valuterà costi e benefici. E sceglierà la strada che ritiene migliore per il bene del suo esecutivo.
Una premessa, a questo punto, è d’obbligo: l’ex banchiere centrale parte dalla certezza che ogni tentativo di dialogo nella maggioranza è da giudicare positivamente. Quello di Letta non può fare eccezione. In fondo, è premier di unità nazionale e ha sempre pregato i partiti di rinunciare a uno spicchio di interesse di parte per l’interesse generale. Detto questo, restano le cautele.
La principale ruota attorno all’efficacia del “metodo Draghi”, a cui preferirebbe non rinunciare. Un approccio rodato che si è consolidato nel corso dei mesi e che corre su due binari. Se esistono nodi che riguardano l’azione parlamentare, saranno risolti con il dialogo in Parlamento. Se invece emerge un problema politico che chiama in causa l’esecutivo, si attiva la cabina di regia a cui partecipano i ministri che guidano le rispettive delegazioni delle forze di maggioranza. Quest’ultima ha funzionato, non ha senso rinunciarci – o farla affiancare da un altro format – senza prima essere certi che siano tutti d’accordo. Non si rottama un meccanismo che funziona senza garanzie. Resta il fatto che Draghi è comunque disposto – anche se certo non con grande entusiasmo – a ragionare sulla possibilità di integrare il suo “metodo” attivando anche un tavolo dei leader. Ma di certo non prima di aver verificato l’unanimità dei partner di governo.
Quello che invece il premier non lascia neanche trapelare, ma che i partiti ritengono essere parte integrante dei suoi ragionamenti di queste ore, è che il presidente del Consiglio non abbia voglia di complicarsi la vita convocando una riunione che presenterebbe molti rischi e pochi vantaggi. Il primo rischio è insito nel formato del tavolo, che richiama il poco fortunato tridente montiano, detto “ABC” (Alfano, Bersani e Casini). In questo caso, si tratterebbe di quattro ex presidenti del Consiglio – Letta, Conte, Renzi e, forse, Silvio Berlusconi – oltre a un ex vicepremier come Salvini (che in passato lanciava subito dopo i vertici dirette Facebook dai tetti del Viminale). Ecco, è disposto Draghi a esporsi al rischio di tensioni tra big, a ridosso del voto sul Quirinale? I leader – o alcuni di loro – rischiano di esautorare i rispettivi ministri e riscrivere da cima a fondo la manovra.
Non è questo, però, lo scenario che ha in mente Letta. Il dem ci tiene a far sapere che la sua è «un’apertura di metodo». Di più: «È fondamentale – spiega – che il lavoro sia collettivo e che tutte le forze di maggioranza si sentano a proprio agio al tavolo». Significa che l’obiettivo politico è far ripartire un confronto sereno nella maggioranza dopo il caos generato dalle amministrative. E che l’orizzonte sia soprattutto il rebus del Quirinale, che va gestito nel modo più ordinato e condiviso possibile. Il segretario mette anche in chiaro che nessuno intende scavalcare nessuno: né Palazzo Chigi, né un alleato come il Movimento. Per questo, il Pd pensa che debbano essere i gruppi ad avviare la pratica in Parlamento. Ai leader spetterebbe solo entrare in campo a inizio dicembre per sancire il patto.
Le faglie politiche, però, restano. La principale riguarda la posizione di Conte. Pare che al numero uno dei grillini non fosse stata anticipata la proposta di Letta. E che nutra alcune riserve a riunire il tavolo sulla manovra. Anche perché, non è un mistero, non controlla i gruppi e rischia di finire sconfessato dai suoi. Tocca a Draghi, ora, decidere come muoversi. Con una consapevolezza: non si può convocare un tavolo che punta a unire e ritrovarsi sballottato in un’arena