22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

Marchini

di Massimo Franco

Forse il tentativo di scalare il Campidoglio da parte del centrodestra si rivelerà velleitario. Di certo, ieri si è consumata la nemesi di Silvio Berlusconi contro l’asse tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il ritiro del candidato di FI, Guido Bertolaso, e l’appoggio al costruttore romano Alfio Marchini, personaggio trasversale, erano nell’aria da qualche giorno. E, per quanto spregiudicata e dai contorni ancora un po’ confusi, l’operazione segue una logica chiarissima: indebolire «la destra populista» della Lega e di Fd’I; recuperare e affermare per contrasto un profilo più moderato e «centrista»; e soprattutto punire alleati che hanno avuto il torto di trattare Berlusconi come un leader liquidabile senza troppi complimenti.

Gli sviluppi di quanto è accaduto ieri si potranno misurare solo nei prossimi giorni. Lo scarto dell’ex premier non garantisce a FI il peso e i voti che è andata perdendo negli ultimi anni; né scongiura il rischio, palpabile in particolare nel Nord, di essere colonizzata e subordinata al Carroccio. Ricompatta, però, i frammenti sparsi del berlusconismo: anche fuori dai confini del suo partito. Cerca di ricreare il mito dell’anziano capo in grado di dare il meglio di sé quando è messo nell’angolo. Ridimensiona le ambizioni e le velleità di primato degli alleati. E rivendica un protagonismo non sul palcoscenico nazionale ma, più prosaicamente, su quello del suo schieramento.

Per lui, dunque, è già una vittoria. E la reazione stizzita dell’«altra destra» che pensava di avere ormai ereditato l’area berlusconiana sottolinea la durezza del colpo subìto. Non solo perché alcuni personaggi televisivi che avevano abbracciato l’asse Lega-Fd’I hanno fatto un’immediata marcia indietro, inneggiando all’intelligenza dell’ex Cavaliere. Il problema è che l’operazione Marchini si configura come una lista trasversale in grado teoricamente di fare concorrenza sia a quella del Pd, sia all’altra del Movimento 5 stelle. In teoria, perché il punto di partenza è basso, i sondaggi dispettosi, e il sostegno di Berlusconi a doppio taglio.

Eppure, da ieri lo scenario per il Campidoglio può cambiare. Roma, capitale disastrata dal malgoverno e dagli scandali, si ripropone come laboratorio di un sistema articolato non più su tre ma su quattro tronconi partitici: Pd, M5S, un centrodestra con ambizioni centriste, e una destra populista. E Marchini, erede di una famiglia di costruttori legati storicamente alla sinistra, potrebbe diventare un candidato più forte di quanto non dicano i numeri di oggi. A prima vista, il Campidoglio sembra l’incubatrice di un’Italia frammentata e condannata al proporzionale, che nessun Italicum riuscirebbe a piegare: anche se ieri il premier Matteo Renzi ha rivendicato con orgoglio la sua riforma elettorale «spaziale» perché nel 2018 «ci sarà uno che vince». Il problema è che aumenta l’incertezza su chi vincerà, e come.

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