L’intervento del Capo dello Stato: «C’è chi si rivolge al presidente della Repubblica chiedendogli di non firmare una legge. Ma il presidente non firma le leggi, bensì la loro promulgazione». Poi l’elogio dell’«armonico disegno» della Costituzione e della libertà di stampa
«Sono un presidente e non sono un sovrano». Sergio Mattarella aggiunge alla sua considerazione anche un «fortunatamente». Con un promemoria: «Il presidente della Repubblica non firma le leggi, ne firma la promulgazione, che è una cosa ben diversa». Il capo dello Stato sta parlando ai rappresentanti della Casagit, la cassa di assistenza dei giornalisti, nei giorni in cui le cronache riportano degli accessi illeciti, da parte di organi giudiziari e di polizia, alle banche dati di diverse istituzioni.
Ma il presidente vuole mettere la massima distanza possibile da ogni interpretazione arbitraria: «Qualche volta — dice — ho come l’impressione che qualcuno pensi ancora allo Statuto Albertino, in cui veniva affidata la funzione legislativa congiuntamente alle due Camere e al re». E quando le Camere approvavano la legge, «il re prima di promulgarle doveva apporre la sua sanzione, cioè la sua condivisione nel merito, perché aveva anche attribuito il potere legislativo. Fortunatamente non è più così».
Basta, dunque, con il tentare di dipingere il presidente come schierato su un provvedimento o tantomeno come il capo dell’opposizione. Osserva Mattarella: «Frequentemente il presidente della Repubblica viene invocato con difformi e diverse motivazioni. C’è chi gli si rivolge chiedendo con veemenza: “Il presidente della Repubblica non firmi questa legge perché non può condividerla o è estremamente sbagliata”, oppure: “Il presidente ha firmato quella legge e quindi l’ha condivisa, l’ha approvata, l’ha fatta propria”».
Non è così: perché appunto, il presidente non approva le leggi, ma ne firma la promulgazione. Che è poi l’atto con cui il presidente «attesta che le Camere hanno entrambe approvato una nuova legge, nel medesimo testo, e che questo testo non presenta profili di evidente incostituzionalità». Comportamenti diversi sarebbero fallo grave: in quel caso, infatti, il presidente «si arrogherebbe indebitamente il compito che è rimesso alla Corte costituzionale». E «sarebbe grave» se un potere «pretendesse di attribuirsi compiti che la Costituzione assegna ad altri poteri dello Stato». Insomma: quando il presidente promulga una legge, «non fa propria la legge o la condivide. Fa semplicemente il suo dovere». Il presidente parla poi «dell’armonico disegno che la nostra Costituzione indica e presenta in maniera sinceramente ammirevole per coloro che la scrissero, che ebbero la forza, in condizioni difficili e anche dialetticamente molto accese, di definirla e approvarla».
Mattarella definisce poi la libertà di stampa come «fondamentale per la nostra democrazia», e come tale tutelata in maniera «netta, chiara, indiscutibile» nella Costituzione. Ma ci deve essere anche un’«assunzione di responsabilità da parte dei giornalisti». Che richiede «lealtà», oltre che «rispetto dei fatti».
Le parole del capo dello Stato arrivano nel giorno in cui la maggioranza lo chiama in causa sull’inchiesta di Perugia e la vicenda del cosiddetto dossieraggio: il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, ieri ha chiesto a chiare lettere «un intervento del presidente del Csm». Una richiesta subito sostenuta dal vice premier leghista Matteo Salvini: «Se qualcuno ha chiesto l’intervento anche del presidente Mattarella ha fatto bene a farlo». Sempre ieri, Mattarella ha promulgato l’istituzione della contestatissima commissione d’inchiesta sulle vicende del Covid.