Francesca Arcidiacono: quanto facciamo in quel Paese è solo una goccia in un oceano di bisogni
Lo ripete tre volte durante l’intervista: «Quanto facciamo è solo una goccia in un oceano di bisogni». Francesca Arcidiacono, catanese, è vice capo missione di Medici Senza Frontiere in Sudan. Lei c’era un anno fa, quando è scoppiata la guerra. Ci è rimasta nove mesi. E ora è tornata sul posto. Msf, una delle poche organizzazioni umanitarie attive nel secondo Paese più vasto dell’Africa, ha uno staff di mille persone e progetti di emergenza in undici dei 18 Stati sudanesi. Curano feriti nei combattimenti, bambini denutriti, anziani con il diabete, mamme incinte, in un Paese dove «solo il 25% degli ospedali è ancora in funzione».
Ieri a Parigi una conferenza internazionale ha ricordato al mondo la crisi del Sudan, dove si combattono le forze di due ex generali golpisti fino al 15 aprile 2023 alleati. Una guerra che ha causato 9 milioni di sfollati: quasi il 40% dei 50 milioni di abitanti non ha abbastanza da mangiare. Nessun tavolo negoziale, invio di armi (Egitto, Turchia e Iran sostengono i governativi del generale al-Burhan, Emirati Arabi, Chad e Russia appoggiano il generale Hemedti).
Nel campo profughi di Zamzam, in Darfur, il personale di Msf ha rilevato l’aumento della mortalità infantile: un bambino muore di fame ogni due ore. Nei prossimi mesi l’emergenza si aggraverà. L’agricoltura è ferma, la sanità al collasso, milioni di studenti non vanno a scuola. L’Onu ha lanciato un appello per 3 miliardi di dollari da investire in aiuti, solo il 6% è stato donato finora. La guerra compie un anno e le persone come Francesca Arcidiacono fanno i salti mortali per far arrivare a destinazione quella goccia in un oceano di bisogni.