Il duello tra le leader diventa un «triello» su sanità ed Europa
Si comincia in sordina, con le telecamere della diretta puntate sugli scranni della Camera e i deputati che sbadigliano a turno. Finché a prendere la parola è il capogruppo del M5S Francesco Silvestri, che sferza Giorgia Meloni sui pandori di Chiara Ferragni e su che fine abbia fatto lo slogan «la pacchia è finita», con cui la ex capa dell’opposizione minacciava fuoco e fiamme contro l’Europa.
La premier impugna il microfono come fosse un randello e picchia sul «disastro ereditato dal governo Conte in materia di Bilancio», sul debito pubblico «aumentato di 350 miliardi in meno di tre anni di governo» e sul bonus edilizio, che solo a pronunciarne il nome le saltano i nervi: «Noi i 35 miliardi che si liberano con il nuovo patto di Stabilità li useremo per sanità e redditi, qualcun altro li avrebbe utilizzati per un altro anno di Superbonus, così magari questa volta ristrutturiamo le magioni con la piscina».
La replica spetterebbe a Silvestri, invece è Giuseppe Conte che si alza e, mentre a destra gridano tutti per coprirne la voce, affronta la leader di FdI: «Lei cos’è, un Re Mida al contrario? Lui tutto quel che toccava trasformava in oro, lei tutto quel che tocca distrugge». Gli stellati scattano in piedi e giù applausi, risate, pacche sulle spalle. E la premier, sottovoce, commenta con un sarcastico «Bravo!».
È il giorno del duello Meloni-Schlein, della prova generale della lunga campagna elettorale per le Europee e del confronto tra le due leader in tv. L’inquilina di Palazzo Chigi ha puntato la segretaria del Pd come avversaria ideale e la giovane leader dem ha tutto l’interesse a raccogliere il guanto. L’una contro l’altra. Perché l’una ha bisogno dell’altra. Ma in questo passo a due ecco inserirsi Giuseppe Conte, il quale non si rassegna a cedere all’altra leader delle opposizioni il ruolo da protagonista dell’anti-Meloni e irrompe sulla scena dando vita a un «triello», lo stallo alla messicana che fa tanto spaghetti-western. La prima mossa di Conte è sfilare a Schlein la bandierina della sanità, citando lo stesso caso di liste d’attesa infinite scolpito nero su bianco nella domanda della segretaria. La seconda mossa, è un attacco a Meloni sulle promesse mancate: «Lei ha illuso gli italiani, ha detto che sarebbe andata a Bruxelles a far tremare l’Europa. Qui invece a tremare è l’Italia».
Decima domanda, tocca a «Elly». Gessato blu a righine bianche, la segretaria chiede alla premier più soldi per la sanità, dove mancano 30 mila medici e 70 mila infermieri «e non mi risponda come fa sempre “potevate farlo voi”, non tanto perché io al governo non ci sono ancora mai stata, ma perché sta da 16 mesi a Palazzo Chigi». Meloni lo prende come un assist e alla «collega Schlein» risponde a tono: «È un’attestazione di stima che chiedete a noi di risolvere i problemi che non avete risolto in dieci anni, grazie per fidarvi di noi…». La formula del premier time consente la replica all’interrogante, quindi è Schlein che alla fine segna il punto. Rinfaccia alla premier la «balla» dei 3 miliardi in più sul fondo sanitario e affonda: «Signora presidente, mi spieghi una cosa. Lei è andata al governo per risolvere i problemi degli italiani o per scaricare le responsabilità su altri?» Le ricorda che il tetto alle assunzioni nella sanità è stato introdotto nel 2009 quando Berlusconi era premier e Meloni ministra, annuncia battaglia contro «l’autonomia che spacca il Paese tra Italia di serie A e Italia di serie B», dipinge una sanità che costringe i poveri a rinunciare alle cure e consente ai ricchi di «saltare la lista d’attesa e andare dal privato». Infine cerca la chiusa a effetto: «Non esiste nessuna destra sociale, questa è una destra letale sul diritto alla salute. E sulla sanità lei è la regina dei tagli». E qui Meloni, come aveva fatto con Conte, si lascia scappare un ironico «brava!».
La segretaria lascia l’Aula col sorriso, corre alla buvette e manda giù lunghi sorsi d’acqua. Le chiedono se abbia notato l’applauso di Giuseppe Conte e lei mostra di apprezzare la sponda: «Mi fa piacere. Hanno fatto bene a presentare un’interrogazione sul patto di Stabilità». I dem hanno facce sollevate («è andata bene») e Schlein ha ancora voglia di parlare: «Per Giorgia Meloni le Europee sono una campagna d’Ungheria». Che c’entra l’Ungheria? «Questi attacchi violentissimi alla libertà di stampa, alla magistratura e ai sindacati li abbiamo già visti in Paesi che si definiscono democrazie illiberali». E Conte? Non pensino, Meloni e Schlein, di levarselo di torno. Il terzo incomodo non lascerà campo libero alla segretaria del Pd, anche se le due donne si candideranno alle Europee e lui manterrà l’impegno a «non ingannare gli italiani».