Al suo elettorato ha garantito: «Tratterremo per 18 mesi nei centri per il rimpatrio chi arriva in Italia illegalmente, anche i richiedenti asilo (che poi coincidono, visto che chi entra in Italia con un barcone o a piedi dalla rotta balcanica poi chiede asilo». A chi sta sul’altra sponda del Mediterraneo in attesa della traversata ha rivolto un minaccioso avvertimento: «Non mettetevi in viaggio perché vi terremo rinchiusi per 18 mesi e poi vi rimanderemo a casa».
Nient’altro che l’ennesimo bluff di Giorgia Meloni e del suo governo, perché basta leggere la norma varata lunedì dal Consiglio dei ministri per capire che l’allungamento da tre a 18 mesi (il massimo consentito dall’Europa) dei tempi di detenzione amministrativa riguarda solo chi nei Cpr entra già con un decreto di espulsione in tasca, in attesa di rimpatrio: perlopiù immigrati denunciati o condannati per reati di vario genere. Non certo, come Meloni ha lasciato intendere per placare quella parte di Paese che si chiede come mai con questo governo gli sbarchi siano più che raddoppiati, tutti coloro che arrivano in Italia senza documenti. Dunque, per essere ancora più chiari, è una misura che non riguarda affatto i 130.000 arrivati in Italia nel 2023: loro — come i successivi che arriveranno — continueranno ad essere ospitati nei centri di accoglienza in attesa che le commissioni esaminino le loro richieste di asilo.
Se fosse stato come la premier ha detto prima e dopo il Consiglio dei ministri – e come certamente è stato tradotto nei video in lingua originale che le ambasciate italiane nei Paesi d’origine dei migranti saranno chiamate a distribuire – sarebbe stato folle, incostituzionale, oltre che totalmente irrealizzabile. Ma Meloni e il suo governo insistono sulla linea della propaganda con una sistematica azione di fake news. Cui partecipa anche il ministro dell’Interno Piantedosi che ancora ieri, ai microfoni di Radio 1, ha detto: «I centri per il rimpatrio sono strutture che accolgono coloro che hanno il diritto e rimpatriano nel Paese d’origine coloro che non hanno questo diritto». Affermazione quantomeno fuorviante.
La verità è che le nuove norme approvate non cambiano affatto la platea dei migranti che verranno portati nei Cpr, destinati a chi ha già ricevuto un decreto di espulsione ed è in attesa della definizione delle complesse procedure di rimpatrio, per le quali adesso ci saranno 18 mesi e non più solo tre. Si tratta perlopiù di persone che hanno commesso reati, non certo di chi arriva e chiede asilo. Un trattenimento dunque che, anche ammesso che il governo riesca a realizzare in tempi rapidi il raddoppio dei Cpr attualmente esistenti, riguarderà comunque una minoranza di persone, non le decine di migliaia di richiedenti asilo già arrivati o che arriveranno.
Di più: ci sono numeri che la dicono lunga sulla storica inefficacia di questa detenzione amministrativa, che non è mai servita ad agevolare i rimpatri effettivi degli espulsi, soprattutto in assenza di accordi bilaterali con i Paesi d’origine. La media degli ultimi dieci anni ha sempre oscillato attorno al 50%, come dire che solo uno su due dei migranti detenuti nei Cpr alla fine viene effettivamente rimandato a casa. Gli altri finiscono per tornare liberi di andare dove vogliono. Anche nel 2013-2014, quando il tempo di trattenimento arrivava fino a 18 mesi, i rimpatri effettivi sono stati tra il 45 e il 55%. La percentuale più alta, il 59%, si è toccata nel 2017, quando il tempo di trattenimento massimo consentito era di soli 90 giorni.