Dopo la fiducia alla Camera e al Senato, la premier dovrà gestire un Parlamento balcanizzato. I distinguo di Romeo (Lega) che chiede «coesione», e per l’Ucraina propone una conferenza con Parigi e Berlino
Da oggi Meloni dovrà gestire tre maggioranze e fronteggiare quattro opposizioni. I due giorni di dibattito sulla fiducia sono piaciuti alla presidente del Consiglio, perché «il confronto è stato franco e rispettoso. In fondo, nonostante alcuni arroccamenti, a mio avviso si è parlato molto di temi concreti». Ma proprio la discussione sui «temi concreti» ha mostrato un Parlamento balcanizzato come nemmeno la Jugoslavia del dopo Tito. Da una parte il collante di governo non riesce a celare le divergenze tra alleati. Dall’altra – oltre le evidenti differenze tra Pd, M5S e Azione – è nato nelle Aule delle Camere una sorta di «intergruppo degli intransigenti» che salda i grillini, la sinistra radicale e una frangia dei democratici sui nodi della guerra e della giustizia.
Nel centrodestra è chiaro che i problemi non sono legati tanto agli assetti di potere: l’accordo sui sottosegretari si troverà nelle prossime quarantotto ore, dato che la premier vuole chiudere la lista entro domani, in vista del Consiglio dei ministri. I nodi sono soprattutto politici, riguardano l’inevitabile competizione tra partiti che sono concentrati anche sulle loro prospettive future. E proprio nella competizione tra alleati, la premier ha «coperto» lestamente Salvini su due temi sensibili: sull’immigrazione è stata aiutata dall’intervento contro le Ong del ministro dell’Interno Piantedosi; sull’aumento del tetto per l’uso del contante – su cui ieri mattina la Lega aveva cercato di dettarle l’agenda – si è presa la scena con l’intervento di replica al Senato. Proprio quel passaggio ha confermato al Pd l’esistenza di un link tra la premier e il leader di Iv. Quando Meloni – per rafforzare la sua tesi – ha citato le parole dell’ex ministro dell’Economia Padoan, il democratico Boccia si è girato verso l’ex compagno di partito e gli ha mimato: «Quella è roba tua».
Che un link ci sia, lo hanno confermato i sorrisi dell’inquilina di palazzo Chigi durante l’intervento di Renzi ad alzo zero contro la «scellerata» linea di opposizione del Pd: «È puro masochismo. Presidente Meloni, si è messa d’accordo con loro?». Al termine delle votazioni, l’ex premier ha regalato alla presidente del Consiglio un paio di cioccolatini, «così ti tieni in forma». Ne è nato un siparietto di cui è stato testimone Salvini. Anche il Cavaliere si è complimentato con il capo di Iv per il suo discorso: «Sei stato bravissimo. Ma quanto sei dimagrito?». Mai come stavolta il dibattito e i movimenti dei leader in Aula hanno disvelato i giochi tra e dentro i partiti. Per esempio, il testo letto da Berlusconi – all’apparenza conciliante verso Meloni – ha avuto toni rivendicativi sul ruolo avuto dal fondatore del centrodestra, e che rimandano a sfide future nella coalizione. «I problemi per il governo – secondo un dirigente azzurro – non verranno dalla politica estera ma dalla politica interna»: a breve scadenza sul ddl concorrenza e sul terzo decreto Aiuti; più avanti sulle questioni economiche e sulla giustizia.
Ed è sulla giustizia che al Senato è uscito allo scoperto l’«intergruppo degli intransigenti». Così come il giorno prima alla Camera si era appalesato sull’approccio al conflitto in Ucraina, a palazzo Madama tutto si è compiuto con l’intervento del grillino Scarpinato: un affondo al governo e alla sua matrice «fascista» e «stragista» che alla maggior parte del gruppo pd è parso «una requisitoria». E che invece é stato applaudito da alcuni loro compagni: davanti all’ovazione tributata dai cinquestelle all’ex magistrato, infatti, non si sono trattenuti.
Tra questi c’era il senatore Verini, che inizialmente si è lasciato andare a un timido clap-clap. Ma quando il suo battimani si è fatto più forte, il collega di partito Giorgis non ha retto e si è voltato sbalordito per il gesto. Tre maggioranze e quattro opposizioni: in mezzo a queste rovine di solito un premier va a nozze. Se non fosse che le emergenze interne e internazionali non lasceranno tranquille Meloni. Ce n’è traccia nella tosse insistente che l’ha accompagnata in questi giorni, colpa delle tante sigarette con cui cerca di lenire l’ansia. La fiducia è archiviata. E ieri sera il presidente del Senato faceva finta di essere contrariato: il dibattito gli ha impedito di vedere l’Inter in Champions. Ma la giornata è finita per lui con due vittorie: quella della sua squadra del cuore e quella della premier.