19 Settembre 2024

Il colloquio Meloni-Salvini. Malumori del Carroccio sulle scelte. E c’è anche la partita sull’emergenza idrica

La staffetta. Quando Giorgia Meloni comincia le comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio europeo di oggi, nessun ministro leghista è in Aula. Carlo Calenda lo segnala: «Il governo è già in crisi». Che sia un problema di impegni ministeriali, che sia un messaggio alla premier, i leghisti poi ci mettono una pezza. E si organizzano perché un loro ministro sia sempre presente in Aula: Valditara, Locatelli, Calderoli.
Da Palazzo Chigi, la parola d’ordine che arriva è sdrammatizzare. Sminuire la portata politica del doppio messaggio che Matteo Salvini ha voluto spedire: sull’Ucraina e sulle nomine nelle partecipate di Stato. L’accordo è lontano e il timore che Fratelli d’Italia voglia fare il pieno provoca tensioni e malumori.
«La Lega un problema? Ma no, è mancato un solo voto al Senato», rassicura il coordinatore di FdI, Giovanni Donzelli. E la stessa premier, intercettata fuori dall’Aula, prova a convincere i giornalisti che «nn c’è nessun problema con la Lega, nessuna polemica» e lo dimostrerebbe il fatto che «Valditara era in Aula». In realtà il ministro dell’Istruzione ha raggiunto l’emiciclo solo dopo il tweet malizioso di Calenda. E quando Meloni nella replica è partita all’attacco sull’Ucraina, con una tesi opposta a quella di Conte e del leghista Romeo, non solo i deputati del Carroccio non hanno applaudito, ma Calderoli e Valditara sono rimasti a braccia conserte.
«Giorgia è stata durissima — avverte un ministro meloniano —. Se pensano di intimorirla sbagliano strada. Ha alzato apposta i toni contro il M5S, ma è chiaro che il monito era rivolto anche ai leghisti». Non sarà il presunto asse gialloverde a cambiare la linea del governo, la premier andrà avanti con il sostegno anche militare a Kiev: «Se ci fermiamo consentiamo l’invasione dell’Ucraina». Tra i deputati di FdI, dove c’è chi ricorda sottovoce i trascorsi dei vertici del Carroccio con Russia Unita, il discorso in dissenso del capogruppo della Lega in Senato Massimiliano Romeo contro «la tirannia del pensiero dominante» viene giudicato «infelice» e «scomposto». Fonti di governo assicurano che «il caso è chiuso», ma c’è voluto un colloquio chiarificatore tra Meloni e Salvini e ieri sera c’era ancora qualche scoria: per i banchi vuoti dei leghisti, che hanno in parte offuscato il discorso della premier e per la consonanza di alcuni accenti leghisti e quelli dei 5S.
Difficile non scorgere in filigranal’insofferenza sulle nomine. «Prenderemo un quarto delle caselle che abbiamo chiesto», geme un azzurro vicino a Silvio Berlusconi. Ma l’epicentro del disagio è la Lega. Che chiede almeno un ad nelle aziende di prima fascia. Nello schema che circola, al Carroccio sarebbe però riservato il solo ad di Terna, importante sì ma non il top. Il cuore del problema, dato che in Eni sarà certamente confermato Claudio Descalzi, è Enel. C’è chi considera chiusa la partita su Stefano Donnarumma, oggi ad di Terna. Ma i leghisti non ci stanno: «Noi — sbuffa un salviniano — avremmo voluto un grande ricambio. Ci hanno detto no. Ora, se Donnarumma ha fatto così bene a Terna, perché spostarlo?». Per i leghisti, la spiegazione è semplice: «Vogliono prendere tutto». E in questa chiave viene letta anche la probabile conferma di Matteo Del Fante alle Poste. Alla Lega verrebbe riconosciuta anche una presidenza, ma a sovranità limitata: «Ci è stato chiesto di indicare una donna».
Leonardo deve avere un pacchetto di testa della massima fiducia di Giorgia Meloni. Persino Lorenzo Mariani, scelta interna sostenuta dal ministro Guido Crosetto, non può oggi dirsi certo della designazione. Difficilissimo che vada alla Lega. A Palazzo Chigi c’è chi osserva: «Sarà una nomina osservata con attenzione anche dall’estero. Dai nostri amici e dai nostri nemici». Meno incerta la presidenza dell’azienda: molti indicano l’oggi direttore del Dis Elisabetta Belloni. Per FI, nel progetto FdI, ci sono due presidenze. Su Enel soffia forte il nome di Paolo Scaroni, su cui Berlusconi sarebbe poco disponibile ad arretrare.
Ma c’è anche la partita sull’emergenza idrica, e Salvini non fa sconti: «Servono soldi e poteri speciali. Io commissario straordinario? Non mi risparmio, se serve al Paese lo faccio».

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