Palazzo Chigi chiama Bruxelles. «Il ruolo dell’Italia sarà riconosciuto, ma tutto può accadere»
La sensazione che una «vittoria importante per l’Italia» sia a portata di mano e, al tempo stesso, la paura che la rivolta di verdi, liberali e socialisti europei contro la destra che conquista spazi nella Commissione di Ursula von der Leyen faccia saltare il tavolo. A Palazzo Chigi sono ore di contatti ai massimi livelli con Bruxelles, di trattative condotte «con fiducia e ottimismo» e anche di malumori e di ansia, che Giorgia Meloni ha condiviso con eurodeputati ed esponenti del governo italiano: «Il ruolo della nostra nazione sarà riconosciuto, ma dobbiamo vigilare perché è un passaggio delicato e tutto può succedere».
Il durissimo attacco del Pse contro il commissario in pectore di FdI e di Ecr, Raffaele Fitto, ha allarmato e innervosito la presidente del Consiglio, che ai vertici del Pse ha fatto arrivare un messaggio di questo tenore: «Anche i vostri cinque commissari avranno bisogno dei due terzi dei voti…». Eppure la presidente dei Conservatori ha chiesto ai dirigenti del suo partito di non reagire con dichiarazioni aggressive. «Dobbiamo rispettare il travaglio del Pse», è stato l’ordine di scuderia della leader, che pure sperava in un atteggiamento meno ostile da parte del Nazareno. L’apertura di Nicola Zingaretti nei confronti di Fitto («Ben venga un ruolo di peso per l’Italia») era stata apprezzata tra Palazzo Chigi e via della Scrofa, sede di FdI. Ma poi Elly Schlein ha detto di aspettarsi da von der Leyen «coerenza con la maggioranza che l’ha votata» e nelle stanze di Palazzo Chigi l’aria è cambiata.
«Noi non cerchiamo il conflitto, siamo rispettosi dei problemi interni dei socialisti e del Pd — è la lettura di un “fratello” meloniano —. Ma restiamo in allerta, perché la fregatura è sempre in agguato». Per quanto la premier e i suoi fedelissimi minimizzino e rassicurino, dai loro ragionamenti filtra preoccupazione: Meloni ha puntato sul ministro più autorevole e stimato di FdI e certo non vuole correre il rischio che Raffaele Fitto esca bruciato dalla cruciale partita europea. D’altronde le deleghe che von der Leyen vorrebbe attribuirgli, Coesione e Pnrr, valgono qualcosa come mille miliardi di fondi Ue e a Palazzo Chigi si aspettavano gelosie e ritorsioni dei partiti che compongono la «maggioranza Ursula» e che stanno soffrendo non poco lo spostamento a destra dell’alleanza. Cattivi umori che potrebbero riemergere quando il candidato italiano, che per essere promosso studia da mesi in inglese i dossier economici europei, sarà messo sotto esame.
La convinzione che riecheggia nelle stanze della premier è che dietro le roboanti dichiarazioni del Pse («Se entra Fitto usciamo noi») ci sia una trattativa serratissima per avere portafogli e deleghe più pesanti. E non solo: quel che i socialisti stanno cercando in ogni modo di scongiurare è di avere commissari «sottoposti» a un vicepresidente esecutivo espresso dalla destra. Raffaele Fitto, appunto. La cui nomina nella squadra ristretta dei vice di von der Leyen sarebbe una indiscutibile vittoria personale per Giorgia Meloni, che a luglio non votò il bis di «Ursula».
Raccontano i colleghi di governo e di partito che il ministro italiano al Pnrr e agli Affari europei continui a mostrarsi (relativamente) tranquillo, ma anche amareggiato. «Quando ero presidente dei Conservatori — ha ricordato in più occasioni — mi spesi in prima persona per far votare Paolo Gentiloni commissario».
A Palazzo Chigi confidano nel sostegno del leader dei Popolari Manfred Weber, che continua a spendere parole di sostegno per l’Italia e anche per il governo. E fanno di conto anche sul peso di Mario Draghi a Bruxelles. Nel pomeriggio di ieri Meloni ha parlato al telefono con il suo predecessore e lo ha invitato a tornare dopo due anni a Palazzo Chigi per un faccia a faccia con lei, «un confronto sul futuro della competitività europea». Il tema del rapporto di 327 pagine che gli è stato commissionato da von der Leyen e con cui Draghi ha suonato la sveglia all’Unione.