Oggi alla Camera le mozioni sul Medio Oriente. Un test per capire se ripartirà un dialogo. Divisioni anche su carceri, caso Salis, premierato, sanità
Elly Schlein e Giorgia Meloni dovevano sentirsi ieri. La segretaria del Pd aveva la telefonata in agenda. La premier però non voleva farsi «imporre» i temi dalla leader dem. Oggetto del colloquio, infatti, la richiesta di Schlein a Meloni di intervenire per fermare Netanyahu.
I dem erano tutti in attesa di quell’appuntamento anche per decidere l’atteggiamento da adottare oggi, alla Camera, nell’esame delle mozioni sul conflitto in Medio Oriente: limitarsi a votare il proprio testo oppure optare per le astensioni incrociate con la maggioranza e il M5S? Ma fino alla tarda serata le due non si sono parlate. Però da Meloni è arrivata una risposta indiretta: «Da parte nostra non slogan ma posizioni serie».
La segretaria dem e la premier sono ai ferri corti. Ma il duello giova a entrambe. Alla leader pd, in primo luogo. È da tempo infatti che Schlein si è ritagliata il ruolo dell’anti-Meloni. Da quando era vicepresidente dell’Emilia-Romagna. Già allora lei e il suo staff stavano costruendo la «polarizzazione» con la leader di FdI. E già allora Schlein si preparava alla ribalta nazionale. Del resto, tutti ricordano il suo intervento alla chiusura della campagna dem per le Politiche, quello in cui faceva il verso a Meloni: «Sono una donna, amo un’altra donna, non sono una madre, ma non per questo son meno donna».
E adesso che Schlein è segretaria, adesso che ha la sua prova elettorale più difficile, il duello si è fatto più aspro. La leader pd attacca la premier e la premier ricambia. È indicativo in questo senso lo scambio di battute dell’altro ieri su De Luca. Meloni ha voluto tirare in ballo la segretaria, chiedendole con inusitata durezza di prendere le distanze dal presidente della Campania che aveva attaccato il governo. E Schlein non si è sottratta allo scontro.
Sono giorni che le due si infilzano a suon di parole. Sul sovraffollamento delle carceri, sul caso di Ilaria Salis, sul premierato, sulla sanità. È un duello che si fa più cruento in vista delle Europee. Serve alla segretaria pd per dimostrare di essere lei la leader delle opposizioni e, quindi, la sfidante naturale della premier. E lo sarà, almeno questo è il progetto, anche quando si andrà al voto delle Politiche. Serve anche a Meloni, perché la polarizzazione attira i riflettori e perché per lei è meglio tirare di sciabola con Schlein che con Conte che mira al suo bacino elettorale. Il confronto televisivo previsto per fine marzo sarà l’ennesima tappa di questo duello e ieri i portavoce delle due leader hanno avuto nuovi contatti per stabilire la data in cui incontrarsi a pranzo questa settimana.
Ma questa polarizzazione ha anche un altro scopo: quello di mettere in ombra gli alleati riottosi, di evitare che la campagna elettorale si snodi attraverso gli scontri interni alle due compagini: Meloni contro Salvini, Schlein contro Conte. È ovvio che sia il leader della Lega sia quello del M5S cercheranno in tutti i modi, di qui alle Europee, di ostacolare questa «polarizzazione». Ma Meloni e Schlein sono unite dal comune sforzo di mettere la sordina agli attacchi degli alleati.
L’inevitabile sbocco di questo duello pare essere la candidatura di entrambe. Ma al momento le due devono ancora decidere. Meloni deve valutare la compatibilità con gli impegni di governo (Ignazio La Russa, ieri, l’ha esortata a farlo: «Fossi in lei mi candiderei»). Schlein deve capire quali possano essere gli eventuali contraccolpi nel Pd: meglio presentarsi dovunque rinunciando al primo posto, per dimostrare di credere nel «gioco di squadra», o meglio candidarsi capolista in tutte le circoscrizioni?