Meloni ha riaperto uno scontro diplomatico con la Francia, accusando Macron di indebolire l’Europa. Il faccia a faccia con i primi ministri di Polonia e Repubblica Ceca
Giorgia Meloni non è affatto pentita. Ha da poco riaperto uno scontro diplomatico con la Francia, accusato Macron di indebolire l’Europa, rischia di apparire o di essere indebolita dalle sue stesse parole, ma ritiene di averle pronunciate a ragione. «Finora tutto il segreto e l’efficacia della reazione europea alla guerra è stata l’unità, stiamo facendo tutti dei sacrifici e invece in questo modo si indebolisce tutto questo lavoro», è il ragionamento che si raccoglie nella delegazione italiana che partecipa al Consiglio europeo.
Le parole della presidente del Consiglio, l’accusa a Macron di aver preso una decisione che va contro gli interessi dell’Unione per motivi di immagine e di politica interna, tengono banco nelle prime ore di un vertice che è stravolto nella sua agenda dalla presenza del leader ucraino. I lavori iniziano con otto ore di ritardo. Giorgia Meloni prima ancora di Zelensky vede i leader del suo stesso partito, ha un incontro con primi ministri di Polonia e Repubblica Ceca, Mateusz Morawiecki e Petr Fiala. Si cercano sponde, per gli obiettivi del vertice, in primo luogo su migranti e aiuti di Stato alle aziende europee, fra gli alleati della destra continentale: entrambi i i primi ministri appartengono al partito che presiede la nostra premier. Potrebbe rivederli in un vertice a tre, nei prossimi giorni, a Varsavia. Forse poco prima di recarsi a Kiev.
C’è anche una rivendicazione nell’entourage del capo del governo, ed è quella di aver rappresentato pubblicamente un malumore che è condiviso da molti altri Stati europei. Organizzare una cena all’Eliseo alla vigilia del summit di Bruxelles, costringendo «persino Scholz a correre a Parigi», verrebbe giudicato «inopportuno» anche dai vertici delle istituzioni comunitarie, da Ursula von der Leyen al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Eppure l’unica che si è esposta è stata lei e insieme alla rivendicazione si raccolgono anche velate perplessità sulla bontà della decisione: Berlino e Parigi restano comunque, volenti o nolenti, il motore storico dell’Unione. E anche fra chi lavora per il governo italiano è possibile ascoltare dubbi sull’opportunità della scelta di Meloni.
Una scelta che inevitabilmente lascia sullo sfondo le materie e i dettagli del vertice, la partita italiana sugli aiuti di Stato alle aziende europee e i passi avanti possibili sul dossier migranti. Tutto retrocede di un passo rispetto alla presenza di Zelensky e all’incontro che Meloni stessa ha annunciato la sera prima con il presidente ucraino. In un primo tempo appare slittato, così come i bilaterali di tutti gli altri leader europei. La presidente del Consiglio incontra il capo della resistenza contro la Russia insieme ai leader di Spagna, Svezia, Romania, Olanda, Polonia e Svezia. All’incontro arriva in leggero ritardo, insieme al premier olandese Mark Rutte.
Subito dopo però è lo staff di Palazzo Chigi a comunicare che si è svolto anche un faccia a faccia con Zelensky, richiesto dallo stesso presidente ucraino. Quindici minuti di colloquio, secondo fonti italiane. I due leader vengono ripresi dalla telecamere mentre parlano in piedi, appoggiati al grande tavolo del vertice a 27. Si discute della prossima visita a Kiev di Meloni, forse anche della necessaria autorizzazione italiana (oltre a quella di altri Stati) per far arrivare in Ucraina i caccia promessi da Londra. Sistemi di difesa e armi che hanno componenti di tecnologia che necessitano del via libera di un gruppo di Paesi diversi.
Con il presidente francese, Emmanuel Macron, invece non ci sono contatti. Le lancette dell’orologio sembrano tornate indietro nel tempo, alle giornate del G20 di Bali. Anche oggi lo scatto dei fotografi ricalca i tanti del summit indonesiano: Macron avanti sorridente, Meloni, ironia della sorte, proprio dietro di lui, nella sua giacca doppio petto rossa. Sono uno accanto all’altro ma sembrano ignorarsi, parlano con interlocutori diversi. Alle dieci di sera i lavori del vertice sono nel pieno delle trattative, si lima il testo delle conclusioni, i nostri diplomatici sono comunque ottimisti, «arriveremo a un buon risultato per l’Italia».
Per Giorgia Meloni significa un riconoscimento della «specificità dei confini marittimi, un enorme passo difficile da immaginare negli ultimi cinque o sei anni». E anche un via libera alla flessibilità dei fondi europei esistenti per la transizione energetica e gli aiuti alle aziende nazionali. In ballo c’è la possibilità di rimodulare la destinazione delle risorse del Pnrr e di aggiungerne, per la competitività delle imprese, anche dai Fondi di coesione del vecchio e del nuovo bilancio europeo. Oggi si vedrà se i due obiettivi sono stati raggiunti.