Nessuno andrebbe in un dicastero che ha già guidato. La linea: i tecnici? Se ci sono io l’esecutivo è politico
Lei continua a lavorare a testa bassa, su dossier economici e crisi energetica, con la «stella polare» della «difesa dell’interesse nazionale italiano, in un contesto internazionale sempre più complesso». Per questo, Giorgia Meloni non vuole perdere un minuto di più: «Vediamo di capire quando sono le consultazioni – dice ipotizzando che il centrodestra si presenti con una delegazione unica al Colle — bisogna cercare di fare presto, ci sono troppe scadenze importanti». E così Meloni ragiona anche su come sminare il campo da problemi che rischiano di incancrenirsi. l caso Salvini-Viminale, per cominciare. Ma anche quello sulla presenza di tecnici nel governo.
Ed ecco emergere una novità, battezzata dai suoi il «Lodo Meloni». Anche se non è detto che l’idea originaria sia proprio della premier in pectore, di sicuro lei ci sta pensando. Da dirsi è semplice: nessuno potrà fare il ministro nel suo governo se già lo ha fatto in precedenza nello stesso ministero. «Nessuno può stare dove già è stato» come dicono in FdI. Il lodo servirebbe a ribadire la discontinuità netta con il passato. Con il governo Draghi, da un certo punto di vista. Che però forse nemmeno è quello principale, ma che pure è significativo di fronte a voci di conferma di alcuni ministri attuali. Tecnici magari, a proposito dei quali ieri la leader di FdI ha detto che chi parla di un «caso tecnici» nel governo dice cose «surreali». La sua linea, spiegano i fedelissimi, è chiara: «La politica deve avere l’umiltà di chiedere quali possano essere le soluzioni migliori», ha detto. Quindi, è la previsione, 4-5 tecnici (ma non la metà, come si è scritto, Meloni consiglia «prudenza») ci saranno, con ogni probabilità in ministeri economici, ma non solo. E raccontano che lo stesso Berlusconi ne avrebbe a lei «proposti tre», che potrebbero «rappresentare tutta la coalizione». Chi siano non viene svelato, ma qualcuno fa identikit: «Sul genere di ad o presidenti di Enel, Eni, attuali o ex…».
In più Meloni precisa: non possono essere considerati tecnici eletti come Pera, Terzi di Sant’Agata o Nordio, ormai in Parlamento. Comunque, ha spiegato nei faccia a faccia Meloni «non esiste un governo tecnico se il premier, che dà la linea, è politico. La mia presenza è già garanzia di governo politico. Così come i provvedimenti che vareremo e che sono nei nostri programmi». E allora non sembra un caso che Meloni precisi come ai prossimi vertici europei, sia che a rappresentare l’Italia sia Draghi sia che tocchi a lei, arriveranno a Bruxelles documenti «frutto del lavoro dell’esecutivo oggi in carica», non del suo. Non significa ci siano «fratture» con Draghi, anzi c’è «collaborazione». Ma non c’è o ci sarà un governo che semplicemente prosegue sulla strada precorsa da quello tecnico precedente. Comunque vadano le trattative in Europa. E dunque si torna al Lodo. Lega e FI sono molto sospettose. Chiaro che il niet a un bis nello stesso dicastero esclude la possibilità che Matteo Salvini assurga al Viminale, come chiedono i suoi fedelissimi. «Ma — dice un esponente di FdI — il discorso vale per tutti, non è affatto pensato per la Lega». E peraltro, già da qualche giorno, i leghisti sembrano rassegnati al fatto che il loro segretario svolga il suo incarico fuori dal Viminale. E dunque niente Giancarlo Giorgetti al Mise (ma di lui si continua a parlare come del prossimo presidente della Camera). Ma anche niente Ignazio La Russa alla Difesa: per lui è forte l’ipotesi presidenza del Senato, che sarebbe un problema per un candidato naturale come Roberto Calderoli, anche se in Lega molti già lo vedono come ministro per i Rapporti con il Parlamento. E poi, niente Erika Stefani agli Affari regionali, vetrina delle Autonomie.
Ma c’è anche un’altra rinuncia dolorosa per FdI. L’ambasciatore Giulio Terzi di Santagata, a dispetto del prestigio, è già stato ministro degli Esteri nel governo Monti. Va anche detto che Silvio Berlusconi non ha dubbi su chi sarà il suo ministro di punta: il coordinatore del partito Antonio Tajani, e la Meloni per ora non ha opposto alcun veto. In ogni caso, il lodo fa vacillare le già poche sicurezze. Uno dei pensatori del partito è certamente Giovanbattista Fazzolari, di lui Meloni si fida ciecamente. Se non fosse il futuro sottosegretario alla presidenza del Consiglio, compito troppo coinvolgente per chi la leader vuole accanto a sé sempre, potrebbe essere il ministro per l’attuazione del programma: la sua scrivania resta idealmente a pochi metri da quella della presidente.