21 Novembre 2024
giorgia meloni (1)

Il meccanismo della preferenza pensato poco prima per il referendum su di sé: l’1 giugno il comizio finale. Il fastidio degli otoliti: «Sono come su un ottovolante…»

«Scrivete Giorgia», semplicemente Giorgia. Lei da sola, contro tutti. Lei che per anni si è sentita derisa, bollata come «pesciarola» e «borgatara». Lei che ancora una volta scende in campo e separa il mondo (elettorale) in due. Con me o contro di me. Dalla parte della verità o da quella delle «menzogne». Di qua Giorgia e i suoi fratelli (e sorelle, vedi Arianna sempre in prima fila), quelli che vengono dal popolo e parlano come il popolo e non stanno a chiedersi, perché è roba da élite, se la premier sia populista, popolare o «pop»
Di là, nel campo delle «balle spaziali» e delle «mistificazioni create ad arte dalla sinistra», ci stanno i nemici, i «bugiardi», quei socialisti «servili» con la Ue che lei, incoronandosi capolista in tutte le circoscrizioni, vuole spedire all’opposizione anche in Europa e con i quali giura che mai scenderà a patti. I «comunisti» di berlusconiana memoria insomma, «quelli colti», che gufavano e pensavano «non ce la farà mai».
Invece eccola qua, dopo un anno e mezzo di governo grazie al quale, sillaba la parola «orgoglio», si sente libera di gridare che «l’Italia è tornata». Mai pronuncerà abiure, mai accetterà lezioni «dagli eredi del Pci che hanno sostituito Mosca con Bruxelles». L’idea di chiedere agli elettori di scrivere sulla scheda delle Europee solo il suo nome di battesimo è venuta proprio a lei, mentre costruiva il discorso di Pescara. Pensa che la sua forza sia dare del tu, da sempre, a tutte le persone che incontra e soprattutto essere ricambiata con il tu: «È la cosa più preziosa che ho».
Le è sembrata la scelta perfetta per una campagna pensata come un referendum sul governo, un referendum su di sé. Una trovata vincente, per polarizzare al massimo la competizione con la donna leader dello schieramento opposto. Perché se la fondatrice di FdI può permettersi di chiedere il voto «per Giorgia», la segretaria del Pd non è riuscita a convincere i dirigenti Dem a mettere il suo nome nel simbolo: figuriamoci se avesse proposto loro di stampare sulla scheda «Elena Ethel Schlein detta Elly», è il non detto di Meloni. La quale sa rigirare il coltello dove fa più male: «Siccome, per fortuna, non sono la segretaria del Pd, il mio partito mi darà una mano in questa campagna…».
Per 73 minuti un po’ legge e un po’ va a braccio e pazienza se mezzo discorso ricorda tanto quello di Atreju, dove per ovvie ragioni non c’era la frecciatina al grande assente Salvini: «Grazie a Matteo, che ha preferito il ponte e la famiglia. Scherzo, eh!». Un «ottovolante» di decibel e capogiri, per via dei maledetti otoliti che da mesi la tormentano. Dopo le ovazioni, lo sventolio di bandiere consegnate alla base osannante dai volontari, dopo le dichiarazioni di lealtà di Tajani, gli applausi di Lollobrigida, Fitto e via elencando, la aspettano al ristorante Oriente, vista sul mare e tutti i tavoli riservati per la destra di governo. Ma «Giorgia è mezza morta», sale in auto e si fa portare dritta a Roma — dove l’1 giugno terrà il comizio di chiusura — lasciandosi alle spalle le polemiche sui manager di Stato che hanno indossato le t-shirt del suo partito e una Pescara assolata e blindata, con tutti gli hotel prenotati in blocco dall’organizzazione su richiesta di Giovanni Donzelli.
D’azzurro vestita come il mare alle sue spalle, dal palco «Giorgia» ne ha per tutti. Critica Report e chiama l’applauso per Edi Rama, «linciato per aver cercato di aiutare l’Italia». Attacca Giuseppe Conte «cerchiobottista» e «cinico», che ha scritto sul simbolo la parola pace «per raccattare qualche voto» e sul quale getta il peso dei 200 miliardi di bonus edilizi, «la più grande patrimoniale al contrario mai fatta in Italia». Cita Enrico Letta e Mario Draghi per dire che le loro ricette sono «le stesse che noi esprimiamo da molti anni» e si guarda bene dal rivelare se sia disposta o meno ad appoggiare il banchiere che l’ha preceduta a Palazzo Chigi, se mai «Ursula» dovesse fallire il bis alla guida della Commissione Ue. Strattona Mattarella su scuole e Ramadan e di nuovo fa fischiare le orecchie a Salvini: «Da qualcuno a destra sono criticata perché parlo anche coi leader di qualche famiglia diversa dalla mia». La strategia non la rivela, ma non ha dimenticato che cinque anni fa «Von Der Leyen fu votata anche da ungheresi e polacchi, che non hanno poi mai fatto parte della maggioranza».
Perché l’Europa «faccia meno ma faccia meglio» e magari anche per coprirsi il fianco dagli slogan di Vannacci, proverà con tutte le forze a spostare a destra l’asse dell’Europarlamento, ma sa bene che potrebbe vedersi costretta a sostenere un presidente della Commissione appoggiato dai socialisti e invita a non confondere i piani: «La Commissione è composta da gente di tutti i colori perché i commissari sono indicati dai governi». Ora però basta discuterne, «è un dibattito surreale». Prima si scrive «Giorgia» sulla scheda. Poi si decide chi guiderà l’Europa. E lei si candida per far pesare i suoi voti.

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