19 Settembre 2024

Il presidente del Consiglio fa il bilancio dei primi 100 giorni e anticipa le priorità del governo: riforma fiscale, tagli al cuneo, sostituzione del reddito di cittadinanza con misure concrete anti povertà, messa in sicurezza del debito

«Occorre rivoluzionare il rapporto tra fisco e contribuente e fare in modo che l’evasione si combatta prima ancora che si realizzi». Partendo da questa premessa il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, annuncia una «legge delega che toccherà tutti i settori della fiscalità» e che «metterà al centro anche i dipendenti e i pensionati, con misure ad hoc». Lo fa in una intervista al Sole 24 Ore che è occasione di bilancio dei primi 100 giorni di governo e di altre, importanti, anticipazioni su provvedimenti in arrivo.
A partire dalla volontà di «mettere al sicuro il nostro debito da nuovi shock finanziari» lavorando con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti «all’aumento del numero di italiani e residenti in Italia che detengono quote del debito».
Non solo. L’impegno, «compatibilmente con le risorse economiche a disposizione», è di «proseguire nella direzione di tagli consistenti al cuneo fiscale» e di «sostituire il reddito di cittadinanza con misure concrete di contrasto alla povertà» dato che «ha fallito tutti gli obiettivi per i quali era nato». Più in generale la priorità per il 2023 è che sia «l’anno delle grandi riforme che l’Italia aspetta da tempo ma che nessuno ha avuto il coraggio di fare».
Dichiarazione particolarmente impegnativa. In attesa di verificare se andrà davvero così, la Meloni coglie l’occasione per sottolineare che «il potere è uno strumento, non un fine», che «il potere è seducente e tenta di ammaliarti in ogni momento ma che la sfida quotidiana è rimanere con i piedi ben piantati per terra» e, con riferimento alle tante nomina pubbliche in arrivo, «di non essere persona che si fa tirare per la giacchetta» e «di non apprezzare chi prova a farlo».

Cento giorni di governo. Aveva ragione Andreotti a sostenere che il potere logora chi non ce l’ha?
Se concepisci il potere e l’incarico che sei chiamato a ricoprire esclusivamente come mezzo di affermazione personale, Andreotti aveva ragione da vendere. Se, al contrario, credi che la politica voglia dire mettersi al servizio dell’altro a prescindere dall’importanza dell’incarico che ricopri, consigliere municipale o Presidente del Consiglio non fa differenza, allora sei immune da quel logoramento. Il potere è uno strumento, non un fine. E il nostro fine è quello di restituire all’Italia la fiducia in sé stessa e liberare le sue energie migliori.

Qual è stata la soddisfazione maggiore?
Posso dirle qual è stata una delle giornate più toccanti: il viaggio a Palermo per ringraziare magistrati, inquirenti e Forze dell’Ordine che hanno permesso la cattura di Matteo Messina Denaro e la fine della sua ultradecennale latitanza. Vede, io ho iniziato a fare politica all’indomani della strage di Via d’Amelio e tornare a Palermo, da Presidente del Consiglio, per dire a quei magistrati e a quegli agenti che lo Stato sarà sempre al loro fianco nella lotta alla criminalità organizzata è una emozione che mi porterò sempre nel cuore. Da Falcone e Borsellino abbiamo raccolto un testimone ed è nostro dovere consegnarlo alle generazioni future.

E quale è stato l’errore più grave?
Voglio aspettare la fine di questa esperienza per individuarlo. So dirle di sicuro qual è l’errore che non riuscirei a perdonarmi: arrivare alla fine di questa esperienza e rendermi conto di non avere fatto tutto quello che potevo per dare agli italiani una Nazione migliore. La coscienza è il giudice più severo.

Il potere, visto da protagonista, che faccia ha?
È seducente e tenta di ammaliarti in ogni momento. La sfida quotidiana è rimanere con i piedi ben piantati per terra e avere sempre davanti gli obiettivi che ti sei dato, senza mai cedere a compromessi o a scelte di comodo. Fare ciò che è giusto per il tuo popolo e per la Nazione è l’unica bussola da seguire.

Si aspettava di trovare in così poco tempo, smentendo la narrazione dei mesi precedenti, tanti consensi in Europa e sulla stampa internazionale, più ancora che in Italia? Come lo spiega?
È il principio di realtà, che ha disintegrato in un colpo solo gli artifici ideologici messi in piedi dalla sinistra e da certa stampa mainstream. Un castello di carte crollato al primo soffio. È bastato conoscerci e guardarci negli occhi senza la lente deformante delle narrazioni distorte e create ad arte contro di noi per capire che siamo persone serie e concrete. Dal giuramento ad oggi ho avuto oltre 60 tra contatti e incontri con capi di Stato e di Governo, ho partecipato al G20 e a diversi vertici multilaterali e ho sempre riscontrato grande attenzione e rispetto nei confronti della nostra Nazione. L’Italia ha cambiato postura a livello internazionale e sta riscoprendo il suo ruolo e la sua centralità. Nel mondo c’è tanta voglia di Italia e noi siamo pronti a rispondere a questa domanda.

Lei era all’opposizione del governo Draghi. Poi, dopo il cambio della guardia, è andata sulla stessa strada. Perché lo ha fatto?
Se parla in termini di credibilità lo considero un complimento e per questo la ringrazio ma se invece parla di contenuti mi consenta di dissentire. Questo è un Governo politico scelto dai cittadini, sostenuto da una maggioranza politica e con un programma votato dagli elettori. Un governo che gli italiani hanno voluto per segnare una netta discontinuità con chi ci ha preceduto a Palazzo Chigi. E i provvedimenti che abbiamo adottato, penso per esempio alla revisione del reddito di cittadinanza o ai passi decisi sull’indipedenza energetica con lo sblocco per la produzione di gas nazionale, lo dimostrano. Scelte qualificanti dal punto di vista della politica economica, perfettamente in linea con il nostro programma e che danno stabilità per la ripresa.

Il debito pubblico elevato schiaccia il Paese limitandone drasticamente l’autonomia. Perfino annullandola. Pensa di mettere in cantiere interventi d’emergenza per ridurlo in misura significativa? Ci state lavorando? Oppure considera la battaglia persa?
Da parte del Governo c’è la massima attenzione al tema, ma una Nazione con un debito pubblico elevato come il nostro non deve perdere di vista la sostenibilità della finanza pubblica. Al momento la situazione finanziaria italiana è sotto controllo: nonostante i tassi d’interesse della Bce in rialzo, lo spread è basso e il debito non è esploso. In ogni caso, noi vogliamo agire al più presto: con il Ministro Giorgetti stiamo lavorando per mettere al sicuro il nostro debito da nuovi shock finanziari e attrarre la fiducia dei risparmiatori e degli investitori, anche nel medio periodo. Vogliamo ridurre la dipendenza dai creditori stranieri, aumentando il numero di italiani e residenti in Italia che detengono quote di debito. Mi faccia aggiungere un elemento: l’unica strada per rendere sostenibile un debito elevato come il nostro è la crescita economica, non le politiche di cieca austerità viste negli anni passati.

La guerra in Ucraina polarizza il mondo su Stati Uniti e Cina. Come uscirne? Difendere l’Ucraina vuol dire difendere gli interessi nazionali italiani e l’idea stessa di Occidente libero. Sostenere l’Ucraina è l’unico modo che abbiamo per garantire un equilibrio delle forze in campo, presupposto indispensabile per costringere la Russia di Putin a sedersi al tavolo e gettare le basi per una pace. Chi promuove la tesi che non dobbiamo sostenere l’Ucraina non vuole la pace, ma l’invasione di uno Stato sovrano e la violazione del diritto internazionale.

L’Europa ha una moneta unica, una banca centrale e politiche fiscali molto diverse, lasciando spazi enormi alla elusione delle tasse. C’è la possibilità di mettere fine a quella che risulta una vera giungla?
La lotta contro l’evasione e l’elusione fiscali deve diventare una priorità a livello internazionale. Servono innanzi tutto maggiori accordi di cooperazione extra Ue e rendere gli strumenti a disposizione sempre più flessibili ed efficaci. Il Governo italiano è pronto a fare la sua parte.

L’inverno demografico sta portando il Paese a essere una grande ‘villa arzilla’. Occorre una spallata vera, non interventi in ordine sparso. La darete?
Abbiamo iniziato a lavorare esattamente in questa direzione perché consideriamo la questione demografica una priorità assoluta. Qualche giorno fa l’edizione internazionale del New York Times titolava con una domanda: “Italia: destinata a scomparire?”. Ecco, io non credo che ci possiamo arrendere a questo destino e occorre fare di tutto per invertire la tendenza. C’è tanto lavoro da fare ma con la manovra abbiamo dato i primi segnali. C’è un pacchetto di misure a sostegno della famiglia e della natalità che vale complessivamente 1 miliardo e mezzo di euro: dall’aumento dell’assegno unico alla riduzione dell’Iva per i prodotti per la prima infanzia, dal rafforzamento del congedo parentale alle agevolazioni e agli interventi per aiutare i giovani under 36 a comprare una casa, allargando dal 50% all’80% la garanzia dello Stato e prorogando alcune agevolazioni, come l’esenzione dall’imposta di bollo o dalle imposte ipotecaria e catastale. Bisogna sostenere il lavoro femminile e investire in tutti quegli strumenti utili, sia pubblici che privati, di conciliazione vita-lavoro. A partire dal potenziamento degli asili nido.

In Italia le dichiarazioni dei redditi non fotografano la ricchezza reale. Tanto che l’economia in nero viene stimata in circa 100 miliardi all’anno. Che programmi avete per contrastarla?
I precedenti governi hanno portato avanti la lotta all’evasione fiscale con sistemi poco efficaci e incentrati sulla riscossione, ma senza ottenere risultati significativi. In questi anni il tax gap è sempre rimasto invariato, attestandosi a 80/100 miliardi di euro di evasione. Questo Governo sta lavorando per rivoluzionare il rapporto tra fisco e contribuente e fare in modo che l’evasione si combatta prima ancor che si realizzi, facendo parlare in modo preventivo l’Amministrazione finanziaria con i cittadini. Stiamo lavorando alla legge delega, che toccherà tutti i settori della fiscalità. Punteremo di più sugli strumenti in grado di favorire l’adempimento spontaneo. Per le piccole e medie imprese con l’istituzione di un concordato preventivo biennale. Le agenzie fiscali con tutte le banche dati che hanno a disposizione possono tranquillamente stimare il reddito delle imprese con cui potranno sedersi a tavolino e dire loro: ‘Tu per due anni paghi quel dovuto e se fatturi di più non mi dai nulla, in cambio non ti sottopongo a controlli’. Se il contribuente rifiuta sarà soggetto a verifiche da parte dell’Agenzia delle Entrate. Per le multinazionali e le grandi imprese, invece, occorre incentivare la ‘cooperative compliance’, ovvero un istituto già esistente che prevede che Agenzia delle Entrate e impresa si confrontino preventivamente. Questa potrà rappresentare anche una opportunità per i professionisti e diventare la vera cinghia di trasmissione tra amministrazione finanziaria e contribuente. Nella legge delega metteremo ovviamente al centro anche i dipendenti e i pensionati, con misure ad hoc.

In troppe aree del Paese le mafie controllano il territorio. Cosa intendete fare?
La lotta alla mafia è uno dei capisaldi di questo Governo. I primi atti lo confermano: abbiamo evitato che fosse cancellato il regime penitenziario duro per gli appartenenti ad associazioni mafiose, e abbiamo modificato in parte la riforma penale Cartabia per ripristinare la procedibilità d’ufficio dei reati con l’aggravante del metodo mafioso o della finalità di terrorismo o eversione. Sono poi state avviate le procedure per l’assunzione di oltre 11mila mila uomini e donne delle Forze dell’Ordine. La prevenzione e il contrasto del crimine mafioso passano anche attraverso la moltiplicazione della destinazione a usi sociali o istituzionali dei beni sequestrati e confiscati perché provento di attività illecita: è quanto mi sono impegnata a promuovere fin dal discorso di fiducia alle Camere, ed è qualcosa che conoscerà sviluppi significativi
entro l’anno.

Gli Stati Uniti hanno approvato un piano massiccio di aiuti alle imprese. La Cina si muove nella stessa direzione. Giudica adeguate le proposte annunciate dalla presidente della Commissione europea? Oppure occorre fare di più?
La priorità dell’Italia è quella di arrivare rapidamente a una risposta europea per rafforzare la competitività delle nostre imprese. L’obiettivo non è creare un Inflation Reduction Act europeo in risposta alla legge sull’inflazione americana. La strada maestra è il rafforzamento del dialogo transatlantico, che privilegia il coordinamento delle politiche economiche delle due aree, europea e americana. La risposta non può essere semplicemente l’allentamento del quadro temporaneo di crisi e transizione per gli aiuti di Stato se questo può creare un processo di concorrenza dannosa tra Stati membri con diversa capacità fiscale che avrebbe il solo effetto d’indebolire ulteriormente la posizione europea. Dev’essere garantita parità di condizioni tra gli Stati attraverso un Fondo sovrano europeo per sostenere gli investimenti e proteggere la sovranità industriale e tecnologica. Ma è necessario rivedere nel più breve tempo possibile il funzionamento dei sistemi di finanziamento della politica industriale europea, anche attraverso la revisione delle regole della governance fiscale.
Nell’immediato è essenziale che sia concessa agli Stati membri la massima flessibilità nell’utilizzo dei fondi già disponibili per i Piani nazionali di ripresa e resilienza e per le politiche di coesione.

Il presidente dei costruttori di auto europei, Luca de Meo, è intervenuto con una lettera a Bruxelles denunciando che l’obiettivo della Commissione di liquidare le auto a benzina e diesel nel 2035 avrà conseguenze disastrose sulle aziende e, di conseguenza, sulla occupazione. Ha ragione?
Condivido le preoccupazioni degli operatori del settore. Lo stop dal 2035 ai motori termici mette in grave difficoltà l’industria europea dell’automotive, che si confronta in un mercato globale dove non ci sono regole così stringenti nel breve-medio termine. Il cammino verso una sostenibilità ambientale maggiore dev’essere graduale e non deve mettere in difficoltà le imprese italiane ed europee. Imporre una scadenza così ravvicinata per una trasformazione epocale di questo tipo rischia di avere conseguenze pesantissime dal punto di vista occupazionale e produttivo, oltre ad avere dubbia efficacia dal punto di vista ambientale visto l’impatto elevato sull’ambiente della produzione di auto elettriche e la sempre maggior efficienza di quelle a combustione. Dobbiamo prevenire questa emergenza. C’è convergenza in Italia su questo tema e lo porrò con forza in sede europea.

Il 2023 sarà l’anno di tagli consistenti al cuneo fiscale?
Ricordo che abbiamo già previsto in manovra l’esonero contributivo del 3% per i redditi da lavoro dipendente fino a 25 mila euro e del 2% per i redditi fino a 35 mila. Certo, è un primo passo ma intendiamo proseguire in questa direzione, compatibilmente con le risorse economiche
disponibili.

Indiscrezioni attendibili, anche se non verificate, quantificano in oltre metà i progetti del Pnrr che non riusciranno a essere realizzati entro il 2026. La Commissione accetterà di modificarli o di allungare i termini?
Gli aggiornamenti al Pnrr, come più volte ribadito, saranno definiti in raccordo con gli uffici della Commissione europea e si fonderanno su criteri oggettivi, sulla base dei quali stiamo verificando la possibilità di realizzazione di ogni singolo intervento. Per quanto attiene ai tempi, oggi l’unico vincolo è il 2026. Pertanto, potranno essere rivisti i tempi intermedi ferma restando, al momento, la data finale del 2026.

Il Pnrr interviene soprattutto sulle infrastrutture. C’è possibilità di rimediare puntando su grandi progetti di sviluppo industriale?
Il Pnrr è la sfida dell’Italia e dell’Europa. Oggi prevede sia interventi infrastrutturali sia incentivi. Con il Ministro Fitto stiamo verificando con tutte le amministrazioni lo stato di attuazione dei singoli interventi e, laddove emergeranno ritardi incompatibili con il cronoprogramma del Pnrr, individueremo nell’ambito della Cabina di regia le modalità più opportune per riprogrammare il Piano. La soluzione d’incentivare grandi progetti industriali sarà valutata al pari di altre, con riguardo alla strategicità delle proposte e soprattutto alla velocità con la quale questi progetti saranno realizzati e completati.

Abbiamo una disoccupazione ai livelli massimi in Europa, ma le aziende italiane non trovano le figure professionali che cercano. È così difficile, per esempio, fare scelte analoghe a quelle della vicina Germania per far incontrare domanda e offerta?
La carenza di manodopera qualificata è un problema strutturale che può essere risolto solo se mettiamo davvero in rete il sistema dell’istruzione superiore e universitaria con il mondo delle imprese e della produzione. Penso ad esempio alla necessità di promuovere la formazione sia nell’ambito delle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) che nei settori di eccellenza della manifattura italiana e all’urgenza di riorganizzare e rafforzare il sistema dei servizi per l’impiego e gli altri strumenti, pubblici e privati, d’intermediazione tra domanda e offerta. È una priorità di questo Governo.

Conferma la scelta di voltare pagina sul reddito di cittadinanza?
Certo, il reddito di cittadinanza è una misura che ha fallito tutti gli obiettivi per i quali era nata. Non ha abolito la povertà e non ha creato posti di lavoro. Abbiamo deciso di sostituire il reddito di cittadinanza con misure concrete di contrasto alla povertà e, separatamente da queste, di rafforzare le politiche attive del lavoro. Uno dei tanti errori del reddito di cittadinanza è stato proprio questo: mescolare gli strumenti di contrasto alla povertà e di assistenza con le politiche attive del lavoro. Ho incontrato nei giorni scorsi il ministro del Lavoro Calderone per fare il punto sulle nostre iniziative. Fermo restando la piena tutela di chi non è in grado di lavorare stiamo lavorando per costruire un nuovo strumento che accentuerà il concetto di inclusione attiva e che sostituirà e migliorerà le politiche attive del lavoro, anche alla luce della nuova programmazione delle politiche di coesione 2021-2027.

I termini previsti verranno rispettati?
Certamente, ma sono solo un punto di passaggio da uno strumento a un altro per prendere in carico tutti quei soggetti che necessitano di avere strumenti di inclusione sociale oppure
lavorativa.

È in arrivo un giro di nomine importanti al vertice delle aziende pubbliche. Siete per la continuità o per voltare pagina?
Tra continuità e cambiamento le rispondo con una terza opzione: vogliamo premiare le competenze migliori, valutando i risultati pregressi conseguiti e scegliendo le persone più adeguate ad assicurare il miglior funzionamento delle nostre aziende. Saranno, inoltre, pienamente garantite le ovvie e indefettibili esigenze di adeguatezza delle persone rispetto agli incarichi.

Avete stabilito l’identikit del candidato ideale? Magari distinguendo tra amministratori delegati, presidenti e consiglieri?
Per il governo contano le competenze, non le provenienze. Le persone che saranno nominate svolgeranno ruoli di guida e di controllo, talvolta cruciali, e dovranno assicurare elevata competenza, indipendenza e terzietà.

Sentirsi tirati per la giacchetta è piacevole o irritante?
Chi mi conosce sa che non sono una persona che si fa tirare per la giacchetta e che non apprezzo chi prova a farlo.

Qual è oggi la priorità di governo?
Il 2023 dev’essere l’anno delle grandi riforme che l’Italia aspetta da anni ma che nessuno ha avuto il coraggio di fare. È arrivato il tempo di una riforma fiscale che costruisca un nuovo rapporto tra lo Stato e i contribuenti, di una riforma della burocrazia che la faccia ritornare al servizio di famiglie e imprese e di una riforma della giustizia che garantisca certezza del diritto e certezza della pena. Senza dimenticare l’avvio di un grande processo di riforma per rendere le nostre Istituzioni più moderne ed efficienti, mettendo insieme presidenzialismo e autonomia.

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