Confermata la sintonia sulla guerra in Ucraina, la premier cerca aiuto sui migranti. Ma la stampa Usa mette alle strette il portavoce della Casa Bianca sulla posizione anti-Lgbtq+ della destra italiana
Giorgia Meloni metterà piede per la prima volta nello Studio Ovale. E porterà in dote a Joe Biden due certezze, senza le quali dieci mesi fa Washington avrebbe osteggiato l’ascesa di una leader che ha costruito un governo assieme a Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, antichi ammiratori di Vladimir Putin: sull’Ucraina sostegno a tempo indefinito a Kiev sul fronte economico e militare, sulla Via della Seta nessun tentennamento e un’uscita soft dal memorandum. A meno che l’elefante nella stanza, ossia le divergenze sulle politiche sociali e dei diritti emerse ieri durante il briefing della Casa Bianca, non compromettano il rapporto. In cambio della disponibilità sul fronte atlantico, la premier chiederà al Presidente americano uno sforzo per sostenere la stabilizzazione del continente africano. È la sua angoscia, perché sa bene che soprattutto da Sud arriva una minaccia politica al suo governo, alle prese con un’allarmante pressione migratoria, con ripercussioni sul piano energetico e di sicurezza. E certo, la tempistica del tentativo di colpo di Stato in Niger – a poche ore dall’incontro alla Casa Bianca, previsto per oggi alle 15 americane (le 21 in Italia) – servirà alla presidente del Consiglio per rafforzare un appello all’amministrazione che giudica cruciale per contenere l’emergenza.
È la prima volta alla Casa Bianca, ma non la prima assoluta in America: quattro anni fa Meloni partecipò al Cpac dei conservatori trumpiani. Tempi che è meglio non tirare fuori con Biden. Anzi, per rassicurare gli americani, ha in programma almeno un’intervista con i media Usa.
Queste potenziali divergenze politiche sono emerse ieri durante il briefing del portavoce John Kirby. Per tre volte i colleghi americani gli chiedono se il Presidente non si senta a disagio con una leader della destra europea, e lui si difende: «Biden si è trovato molto bene a lavorare con Meloni, c’è un grande allineamento tra Italia e Stati Uniti su tantissime questioni internazionali. L’Italia è stata di grandissimo sostegno sull’Ucraina». Quindi aggiunge: «Gli italiani scelgono chi eleggere come leader e il Presidente lo rispetta». Quando però gli domandano se gli Usa abbiano rinunciato a basare la loro politica estera sulla difesa dei diritti umani, a partire da quelli dei gay, il tono cambia: «Gli Stati Uniti non sono mai stati timidi quando si tratta di affrontare questioni legati a diritti umani, civili e libertà d’espressione, e continueranno a far sentire la loro voce». Tradotto: in questa fase le sfide geopolitiche di Ucraina e Cina prevalgono sul resto, ma in futuro lo scenario potrebbe cambiare, anche perché in America i gruppi elettorali minacciati dalle scelte di Meloni sono decisivi per la rielezione di Biden.
La questione africana, come detto, è invece quella che più sta a cuore alla premier. Lì agisce Wagner, lì si muove da anni – e senza badare a spese – anche la Cina, da lì partono i flussi migratori del Mediterraneo. In questo senso, la destabilizzazione in Niger allarma: è un Paese chiave del Sahel, una reale sponda per gli occidentali. Ed è terreno di scontro con i terroristi un tempo arruolati nell’Isis. Meloni ribadirà a Biden la volontà di dedicare una fetta rilevante del G7 italiano del 2024 proprio all’Africa. «Serve impegno per la stabilità come elemento di sicurezza – è la linea -. Una priorità che deve riguardare tutti gli alleati». Washington è pronta a dirsi impegnata, ma è chiaro che l’indo-pacifico e la guerra in Ucraina assorbono la gran parte degli sforzi: tocca soprattutto agli europei muoversi in Africa. Ma c’è un altro dossier chiave: la Tunisia. Il presidente Saied non intende procedere con le riforme chieste dal Fmi, senza le quali non erogherà i prestiti. Meloni spera che la questione venga risolta grazie all’intercessione di Biden, ma in realtà fonti autorevoli del Fondo ribadiscono che allo stato non c’è alcun progresso.
Il nodo forse più delicato del faccia a faccia è però un altro: la Cina. Che Biden attenda l’uscita di Roma dalla Via della Seta è scontato: «Sarà l’Italia – ha detto Kirby – a decidere se e quando lasciarla. È chiaro però che sempre più Paesi nel mondo sono arrivati alla conclusione che gli accordi con la Cina sono pericolosi». Meloni ha garantito che non deluderà Washington. Si tratta però di gestire la partita con attenzione. «Sul piano geopolitico – è la posizione italiana – la Cina è diventata un interlocutore imprescindibile. Intendiamo perseguire con Pechino un rapporto equilibrato e di dialogo responsabile». L’amministrazione Usa non pretende strappi brutali, ma si aspetta che esca dal patto. Meloni chiederà a Biden su quali dossier la collaborazione con la Cina può proseguire, e su quali invece le relazioni vanno interrotte. Nulla sarà annunciato sul suolo americano, perché non suoni come uno sgarbo a Xi.
Prima di Biden, la premier si recherà oggi al Congresso, ricevuta dallo speaker della Camera Kevin McCarthy. Poi deporrà una corona al cimitero militare di Arlington. Questa sera, invece, cena con gli italiani ospitata dal proprietario del Cafe Milano Franco Nuschese.