24 Novembre 2024

Il capo di Azione Carlo Calenda accolto a Palazzo Chigi dai big di Fratelli d’Italia

Disposta a tutto. Anche a restare «inchiodata» nell’Aula di Montecitorio, sui banchi del governo, per «tutto il tempo necessario» e quindi anche durante le festività natalizie, «il 25 dicembre, il 26 e anche l’ultimo dell’anno». Giorgia Meloni stringe i bulloni della maggioranza, invoca compattezza e «blinda» la manovra economica. «Io sono tranquilla, non temo l’esercizio provvisorio — ha rassicurato a porte chiuse la leader di Fratelli d’Italia —. Ma c’è solo un mese di tempo, dobbiamo scongiurare che un incidente di percorso ci porti a sforare i tempi». Il timore è l’ingorgo parlamentare che potrebbe crearsi con i decreti in arrivo, anche a causa dell’ostruzionismo delle minoranze.
Ecco allora che, per spianare la strada al provvedimento che vale 37 miliardi ed è, anche a Bruxelles, un test decisivo per la credibilità della nuova destra, la premier gioca su due tavoli. Alla sua maggioranza lancia appelli alla compattezza e al senso di responsabilità e intanto dialoga senza imbarazzi con un pezzo delle opposizioni. Il «summit» con Carlo Calenda, accolto a Palazzo Chigi dai «big» di Fratelli d’Italia, è solo una parte della strategia. Lo conferma la reazione furibonda di Forza Italia, che punta a colpire l’esponente dell’opposizione, ma serve al tempo stesso ad avvisare Meloni che il disagio c’è ed è forte.
Aprendo al leader del Terzo polo, che promette un’opposizione «responsabile» come fu quella della stessa Meloni al governo di Mario Draghi, la premier manda un avvertimento ai più recalcitranti tra i suoi alleati. Lei di certo non ha commesso l’azzardo e l’ingenuità di chiederglielo e Calenda smentisce di averlo anche solo pensato («non voteremo la manovra, né la fiducia»), ma il messaggio in bottiglia arrivato in Parlamento è che la maggioranza potrebbe un giorno allargarsi verso il centro.
Come ha rivendicato il leader di Azione, Meloni poteva cavarsela con un incontro pro forma, una mezz’oretta e via. Invece ha accolto l’ospite con tutti gli onori, facendogli trovare in sala il ministro Giorgetti, i fidatissimi Fazzolari e Lollobrigida e il sottosegretario alla presidenza Mantovano, sempre presente nei momenti più importanti. Il vertice è durato un’ora e mezza ed è stato «molto operativo», come se davvero ai piani alti del governo ci sia l’intenzione di accogliere i suggerimenti di Calenda e compagni. A cominciare dal Reddito di cittadinanza, che potrebbe virare verso il reddito di inclusione. «Lei si è detta d’accordo», gongola Calenda eppure assicura che no, Meloni non le ha chiesto «Carlo dacci una mano». Non ce n’è stato bisogno. La mano l’ex ministro centrista l’ha data già salendo a Palazzo Chigi, una mossa che potrebbe neutralizzare qualche rivendicazione degli alleati. Calenda non ha solo promesso che il Terzo polo «non farà ostruzionismo», ma ha anche insinuato che Forza Italia stia al governo «per sabotarlo».
Il resto del lavoro di sminamento, Meloni lo ha fatto dentro il perimetro della maggioranza. Ha ricordato che la manovra, per forza di cose, è stata scritta a tempo di record e a tempo di record deve essere approvata, ma ha promesso che rispetterà il Parlamento e lascerà ai partiti «la possibilità di migliorarla». Con i capigruppo la premier ha rimandato alla prossima settimana il merito delle norme più controverse e ha piantato qualche paletto sul metodo: «Non possiamo arrivare in Commissione con migliaia di emendamenti di maggioranza, dobbiamo sfoltirli prima». Le modifiche dunque saranno contingentate, con l’obiettivo di limitarle a 400 circa. Anche per questo si è deciso di istituire un coordinamento dei presidenti dei gruppi parlamentari, cui toccherà anche valutare come impiegare il tesoretto che Palazzo Chigi e via XX Settembre avrebbero messo da parte per rafforzare l’impianto della manovra.
Meloni assicura di essere aperta anche ai suggerimenti delle opposizioni, purché non si pensi di «stravolgere» il lavoro che il governo ha fatto. E il monito è rivolto anche a Forza Italia e Lega. Nell’intervista al Corriere, la prima da quando è a Palazzo Chigi, Meloni lo ha detto con una formula che può apparire diplomatica, ma politicamente è piuttosto ruvida: in Consiglio dei ministri siedono sia il leader della Lega Matteo Salvini che il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani e «stravolgere la manovra significherebbe delegittimarli». E il 7 dicembre tocca ai sindacati. Alle 12,30 a Palazzo Chigi saliranno i leader di Cgil, Cisl, Uil e Ugl e ci saranno anche i ministri economici.

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