La premier: l’orizzonte è lungo, possiamo avere una strategia. E Berlusconi: «Ho sempre condiviso le decisioni che hai preso
Le Regionali come un referendum. Una conferma utile a dare forza al governo dopo i suoi primi 100 giorni di vita e i suoi primi «oltre cento provvedimenti». Giorgia Meloni la dice così: «Siete voi, che dovete dircelo. Diteci con il voto quale è l’Italia e cosa l’Italia pensa davvero».
La presidente del Consiglio è accolta come una popstar al teatro Dal Verme di Milano dove il centrodestra chiude la campagna elettorale con qualche giorno di anticipo: la premier giovedì e venerdì sarà infatti al Consiglio europeo straordinario a cui lei attribuisce un valore strategico decisivo. E la cui convocazione per la premier è certamente già una vittoria: «Ehi, guarda… alla Meloni rivolgono la parola… le stringono la mano. Io ho detto semplicemente che non ho le antenne, non sono verde».
Ma, appunto, il messaggio consegnato al teatro milanese è quello di votare (l’astensionismo è uno spettro temuto da tutti i partner dell’alleanza) per certificare il sostegno a un governo che spesso i giornali descrivono «in un modo completamente diverso da quello che io vedo». Non è soltanto una bacchettata ai giornalisti («Ogni giorno scopro di aver imbavagliato un ministro, multato un ministro…») ma è soprattutto l’orgoglio per il lavoro svolto, che è misurabile: «Il metro di giudizio della solidità di una governo è la velocità con cui riesce a prendere le decisioni».
Per questo gli oltre cento provvedimenti già approvati sono il tracciante «di un clima completamente diverso». E così, Giorgia Meloni sfida «chiunque a riuscire a mettere in una legge di bilancio scritta in dieci, quindici giorni le cose che avevamo promesso», ma soprattutto ad avere nello stesso tempo lavorato «su misure di carattere strategico». Questo perché, torna a ripetere, «abbiamo un orizzonte lungo. Possiamo averla, una strategia. Chi sa di avere davanti poco tempo, non può».
La premier, prima di arrivare al teatro milanese, incontra in prefettura il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Parlano del piano per mettere in sicurezza le stazioni di Milano, Roma e Napoli. Ma in realtà, questa come tutte le ultime giornate sono state dedicate al Consiglio europeo «perché io credo che dal rapporto con gli altri possano arrivare tante cose».
E così, anche lei non si sottrae al gioco delle congratulazioni innescato da Silvio Berlusconi: «Matteo Salvini leale e trasparente», «Giorgia di trasparenza totale, gentile e di capacità assoluta». Ma dato che si sta parlando di relazioni con il mondo, lei gli replica dunque con quello che nel contesto è il massimo complimento possibile: «È il miglior ministro degli Esteri che l’Italia abbia mai avuto». E riconosce anche il fatto che il governo guidato dal fondatore di Forza Italia «è stato l’ultimo con una visione».
Silvio Berlusconi vuole anche sgomberare il campo dalle polemiche che hanno costellato i primi mesi di lavoro del governo: «Io ho sempre condiviso le decisioni che hai preso». Di più: «Con te sono sempre d’accordo su tutto». Le preoccupazioni che si colgono nella platea per la competizione interna tra i partiti del centrodestra non trova alcuno spazio tra i leader. Semmai, nel parterre qualche brivido lo solleva proprio la premier, quando dice — ma parla dello Stato — che il senso del governo è anche «rimuovere le incrostazioni». «Peccato che qui siamo al governo dal 1995…» ironizza uno dei presenti.
Ma, appunto, il tema che occupa i pensieri della presidente del Consiglio è quel Consiglio europeo che dovrà diffidare ogni dubbio su «un’Italia isolata». Ieri, mattina, al lavoro telefonico degli ultimi giorni si è aggiunta la lunga chiamata con il presidente spagnolo Pedro Sanchez. Oltre al sostegno europeo all’Ucraina «a 360 gradi», la premier ha affrontato con lui un argomento delicato come le soluzioni europee a sostegno della competitività delle imprese, tema in cui le fughe in avanti non sono né rare né isolate. E poi, l’altro grande tema: la gestione europea dei flussi migratori e del controllo dei confini. Il premier ungherese Viktor Orbán è già tornato sul tema a lui caro: «L’Ue deve finanziare la protezione dei nostri confini, comprese recinzioni e altre barriere fisiche».