
In cinque anni persi 12 mila abilitati. Nel 2024 giù dell’1,6 per cento rispetto al 2023. C’è invece un +6,8% per fatturato e reddito ma le donne guadagnano la metà
Meno avvocati ma più ricchi. O meno poveri a seconda di come si vuole vedere il bicchiere. Non si arresta iltrend negativo per le iscrizioni alla Cassa forense che, nel 2024, è sceso ancora dell’1,6% (233.260) rispetto al 2023 ( 236,946). Un’emorragia di 12 mila abilitati dal 2020, quando il numero di iscritti aveva toccato quota 245.030. Resta però fermo a 4 il rapporto di iscritti per mille abitanti. Gli uomini sono 124.000, le donne 109.252, pari al 46,8% in diminuzione dal 2020 al 2024. A lasciare l’attività, in media a 44 anni, sono più le donne(meno 2.140).
Reddito in aumento
Notizie migliori per il fatturato e il reddito medio della categoria: pari a 47.678 euro, con un + 6,8%. Con un’ombra anche in questo caso: le avvocate guadagnano la metà degli uomini, che contano su un reddito medio di 62.456 euro a fronte dei 31.115 delle colleghe. Si conferma la distribuzione a macchia di leopardo: nella florida Lombardia la media è di 81.115 euro, mentre in Calabria, regione fanalino di coda, è di 24.203 euro: 17 mila per le donne. Oggetto di riflessione anche la percentuale di avvocati che lascerebbe la toga se avesse altre opportunità: il 33%. È la fotografia che emerge dal nono rapporto sull’avvocatura dal titolo «Nuovi orizzonti per l’avvocatura: tra sfide e opportunità», realizzato da Cassa Forense, in collaborazione con il Censis, presentato mercoledì 2 aprile a Roma all’Auditorium dell’Istituto di previdenza, dal presidente Valter Militi.
Richieste e interventi da avviare
È proprio il numero uno di Cassa forense a evidenziare le priorità degli interventi in favore della categoria: «Il rapporto 2025, basato su un questionario al quale hanno risposto 28 mila avvocati – ha detto Militi – conferma l’invecchiamento della professione: l’età media degli iscritti è salita a 48,9 anni, rispetto ai 42,3 di venti anni fa, mentre il numero di avvocati pensionati è passato da 29.868 nel 2019 a 34.719 nel 2024. Un fenomeno – avverte il vertice della Cassa – affrontato con la riforma della previdenza in vigore dal 1° gennaio 2025. Incoraggiante il dato che evidenzia come il 52% degli avvocati in regime forfettario sarebbe interessato alla contribuzione modulare volontaria se fosse deducibile».
Da Militi la conferma dell’intenzione di Cassa forense di intervenire sugli iscritti “fragili”: giovani e donne. Preoccupa il calo di abilitazioni: nel 2023 ci sono state 4.692 presenze in meno rispetto al 2022. Pressoché invariato il tasso di successo (46,2%), ma il bacino di abilitati è stato in assoluto il più basso della serie storica 2019-2023, pari a 4.486. In tutta l’Umbria nel 2024 ci sono stati solo 81 candidati. Mission di Cassa forense è invertire la rotta. È previsto per oggi l’ok ai bandi per il 2025. Contributi indirizzati soprattutto, agli studenti, al supporto alla professione e alla famiglia. Con una novità: il «reddito di libertà», a tutela delle professioniste che si trovano a subire una violenza di genere.
Alle donne guarda anche il presidente del Consiglio nazionale forense Francesco Greco, che chiede una parità di genere negli incarichi dati dalla Pa o dall’autorità giudiziaria. «Chiedo una circolare o un decreto che imponga una parità di genere nelle nomine, che siano consulenti o avvocati del libero foro. Alle colleghe chiedo invece una maggiore disponibilità a occuparsi di tutte le branche del diritto, e non in maniera preponderante del diritto di famiglia». L’invito a prevedere una norma, che sarebbe a impatto zero, è raccolto dalla vice presidente del senato Anna Rossomando, che promette il suo interessamento.
Da Greco anche la richiesta di abolire la norma della Cartabia «che ha messo gli avvocati fuori dai tribunali con l’abuso della trattazione scritta». Poi l’impegno a rimuovere, con il nuovo ordinamento forense, la gabbia delle incompatibilità per tutti i conferimenti di ruoli nelle società «perché l’avvocato – ha sottolineato Greco – deve poter essere presidente del Cda di una società per azioni». Ultima, ma non per importanza, la richiesta alla Cassa di dotare gli avvocati di un loro sistema di intelligenza artificiale Strumento considerato indispensabile ma usato solo dal 27,5% degli avvocati nelle attività professionali quotidiane. In particolare, per la ricerca giurisprudenziale e documentale (19,9%). Il 72,3% invece non la utilizza affatto. Il 16,3% dichiara di non conoscere o non saperlo usare, mentre il 6,4% considera l’investimento troppo oneroso. Il 31,7% di professionisti però sta pensando di adottarlo in futuro.
Tutelare l’oralità
Il vice ministro della giustizia Francesco Paolo Sisto non se la sente di applaudire all’aumento del fatturato e dei redditi medi dei legali. «È possibile – afferma Sisto – che sia un effetto del Pnrr che ha portato una spinta in tutta Italia. Un effetto destinato a terminare nel 2026 con il raggiungimento degli obiettivi. È un dato incoraggiante ma da prendere con le pinze». Anche Sisto spezza una lancia in favore di un ritorno all’oralità. «Se perdiamo il principio di oralità l’Ai sarà incontrollabile – ha detto il viceministro – la presenza in udienza e il diverso modo di discutere di ogni avvocato rappresentano un argine fondamentale allo straripare dell’ intelligenza artificiale». In linea con il presidente del Cnf, Sisto sollecita un gioco di squadra per mettere fine alle incompatibilità. Perché per rafforzare la professione non basta più essere solo avvocati.