Fonte: Corriere della Sera
di Tommaso Labate
L’ex leader pd: senza di noi? O governa con i fuoriusciti di FI, ma è difficile. Oppure si arriva a un esecutivo tecnico con Draghi o chi per lui
«Domani (oggi, ndr), con la riforma del Mes, Conte andrà avanti senza problemi. Ma sulla governance del Recovery fund non cedo. Non mi sposto di un millimetro. Per cui o fa un passo indietro lui o, se questo strappo alla democrazia finisce in un emendamento della legge di Bilancio, Italia viva non voterà la legge di Bilancio. Attenzione, non è che non votiamo l’emendamento e il resto sì. No, non votiamo tutta la legge di Bilancio. E ovviamente, nello stesso momento, Teresa Bellanova, Elena Bonetti e il sottosegretario Ivan Scalfarotto si dimetterebbero dal governo…». Alle tre di ieri pomeriggio, mentre le tensioni interne alla maggioranza stanno infuocando il giorno dell’Immacolata, Matteo Renzi detta la strategia ai suoi. Prima smina il terreno sulla riforma del Mes, lasciando qualche ora di respiro al governo; poi riempie di trappole i giorni successivi, quelli che saranno scanditi dal varo o dall’accantonamento della task force che deciderà l’indirizzo delle risorse del Recovery fund sotto l’egida di Palazzo Chigi.
Ma visto che non c’è strategia che non passi dal ripensamento critico delle puntate precedenti, ecco che Renzi toglie dal vocabolario di Italia viva la parola «rimpasto». «Guai a voi — dice ai maggiorenti del partito — se qualcuno evoca di nuovo il rimpasto di governo. Stop, fine, non ci interessa più». La battaglia finale tra lui e Conte riguarda la governance del Recovery fund e solo quella. «Voi non avete idea dei messaggi che sto ricevendo nelle ultime ore su questo fronte», confida l’ex premier. «Gente di sinistra-sinistra, autorevoli esponenti dei comitati del No al referendum del 2016, persone con cui ho battagliato per anni e che adesso mi chiedono “non ti fermare, non accettare questo esproprio dei poteri del Parlamento e del governo”».
Il leader di Iv nega che questo sia l’ennesimo capitolo di uno scontro tra lui e Conte. Al contrario. Un mese fa i due avevano incominciato a costruire un rapporto diretto. Prima il ritorno di Renzi a Palazzo Chigi, da non presidente del Consiglio, insieme agli altri leader della maggioranza; poi un faccia a faccia, richiesto dal premier, in cui i due si erano parlati per due ore e mezza. Nella ricostruzione fatta da Renzi agli amici più stretti, l’«avvocato» si era spinto fino al chiedergli del suo futuro personale: «Ma tu, che vuoi fare?». «Io non voglio nulla», aveva risposto Renzi. E quando la discussione era finita sulla guida della Nato, aveva frenato il suo successore: «Non facciamoci illusioni sul peso dell’Italia in quella scelta. Quella casella la decide la Casa Bianca».
Il clima di reciproca confidenza si è rotto quando è spuntata fuori la storia della task force del Recovery fund. Uno scambio incrociato di messaggi, poi il gelo. «Vedete», è l’adagio di Renzi delle ultime ore, «se Conte è tranquillo su di me, è solo per un motivo: perché crede che io sia quello che urla “al lupo, al lupo”. Ma se arriva in fondo con questa idea delle task force sui fondi europei, capirà che non è così. Mi sono fermato a febbraio per il coronavirus, ho lasciato stare la questione della sfiducia a Bonafede perché il Paese aveva altre urgenze. Ora su questo non mi fermo…». A torto o ragione, il leader di Iv è convinto di avere diviso il Pd in tre tronconi. Quelli che sono d’accordo con lui, quelli che sono d’accordo con Conte, quelli che aspettano. Ed è anche convinto che il Pd, alla fine, dovrà uscire allo scoperto. Uno dei suoi gli ha chiesto che cosa vede in fondo al tunnel, nel caso in cui Italia viva esca dalla maggioranza. «O Conte fa il governo ter senza di noi, ma la vedo dura che fuoriusciti di Forza Italia gli diano una mano, o si arriva a un governo tecnico, Draghi o chi per lui. Oppure non lo sapremo mai, perché Conte decide di fermarsi prima. Lui, perché io stavolta non mi fermo».