19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Franco

È improbabile che sul Mes il governo vada in crisi. Ma riaffiorano all’improvviso sacche di resistenza a Bruxelles che mostrano un’Italia intrappolata in ideologie dure a morirein grado di condizionare i gruppi dirigenti dei partiti


Il grillismo al tramonto sul piano politico sta accarezzando una vittoria di Pirro sul Mes. Essere riuscito a coalizzare il fronte populista, con l’aggiunta sorprendente di Silvio Berlusconi, sul «no» tutto ideologico al prestito europeo, segna un punto a favore del 5 Stelle: sebbene sia molto opinabile che lo segni anche a favore degli interessi dell’Italia. La sensazione è che abbia prevalso una lettura demagogica del Fondo salva Stati; e che, di nuovo, la maggiore forza di governo abbia subito il richiamo della foresta dell’ostilità populista all’Europa condivisa con la destra di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni: la stessa Europa alla quale il M5S cerca affannosamente di ancorarsi bussando alle porte delle famiglie politiche storiche. La protesta di deputati e senatori contro il «sì» ambiguo alla riforma garantito dal capo politico uscente, Vito Crimi, evoca perfino una possibile regressione.
È improbabile che sul Mes il governo vada in crisi. Ma i rischi crescono, se non altro per i numeri parlamentari. E comunque non è difficile prevedere che quest’ultimo scarto, rivendicato con iattanza dall’intera nomenklatura, peggiorerà la percezione del Movimento nelle cancellerie europee. Ma sarebbe il male minore. Il problema è che indebolirà l’Italia e il suo governo a livello continentale, perpetuando l’immagine di un Paese imprevedibile e perentorio nel chiedere fondi ma non nel fornire garanzie a chi li presta. Lo stesso premier Giuseppe Conte ne riemergerà ammaccato, seppure sulla poltrona di Palazzo Chigi. Insomma, sembra proprio il trionfo della peggiore ideologia, in un momento in cui l’emergenza del coronavirus imporrebbe il massimo di pragmatismo e di senso di responsabilità.
Le reazioni sconcertate che si avvertono nelle file di Forza Italia raccontano un disorientamento palpabile. È come se con il suo «no» alla riforma del Mes, Berlusconi si fosse riallineato in modo subalterno a una Lega che appena pochi giorni fa aveva indotto a votare sì allo scostamento di bilancio insieme con Fratelli d’Italia. Uno degli effetti collaterali è di avere incrinato in modo serio i rapporti con la cancelliera tedesca Angela Merkel e col Partito popolare europeo, che si erano battuti a favore dell’Italia anche contro alcune nazioni Est e Nord-europee; e di avere rincuorato l’ala del grillismo più ostile al prestito. Evidentemente, la tregua interna al centrodestra italiano è così precaria da doversi affidare a una sorta di prova di lealtà quotidiana. Ma le contraddizioni dell’opposizione non possono velare la spaccatura che si protrae da oltre un anno nella maggioranza tra M5S, Pd, Iv e Leu. Sul prestito che riguarda sia la sanità sia, nell’ultima versione, il sistema bancario, e più in generale sui rapporti con l’Ue, gli schieramenti si rimescolano.
A guardare bene, sul Mes il partito di Nicola Zingaretti oggi appare più vicino a Italia viva che al movimento del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e al premier. Una sorta di inerzia euroscettica ripropone l’asse populista M5S-Lega andato al potere dopo le Politiche del 2018, con l’aggiunta di FdI, di alcuni settori della sinistra radicale e ora di Forza Italia: un fronte eterogeneo ma consistente, opposto a uno schieramento europeista minoritario. E pensare che nel giugno del 2019, l’uscita del Carroccio dalla maggioranza e le premesse del secondo governo Conte col Pd erano state anticipate proprio dal voto a favore della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Adesso, tutto sembra rimesso in discussione. Dopo mesi, riaffiorano all’improvviso sacche di resistenza date per sepolte in nome dell’esigenza di governare e di trattare con Bruxelles.
Mostrano un’Italia intrappolata in ideologie non solo dure a morire, ma tuttora vive e in grado di condizionare i gruppi dirigenti dei partiti. Riflettono un’egemonia che si nutre della cultura dell’emergenza da coronavirus; e che in suo nome piega l’intervento obbligato dello Stato alle parole d’ordine assistenziali. Il panorama di confusione e di contraddittorietà che il sistema proietta all’esterno è fatto per rendere le prossime settimane e i prossimi mesi più complicati di quanto già non siano. D’altronde, le ambiguità e i non detti hanno preparato di fatto il caos che si sta profilando. Uscirne non sarà semplice: in assenza di un segnale forte di Palazzo Chigi, il logoramento del governo è destinato ad aggravarsi in tempi rapidi.

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