Fonte: Sole 24 Ore
di Beda Romano
Il presidente del Consiglio europeo fa mea culpa dopo la gaffe con Ursula von der Leyen nell’incontro con Erdogan. E aggiunge: non volevo compromettere la visita.
L’incidente diplomatico avvenuto ad Ankara questa settimana, e che ha visto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen relegata su un sofà mentre i suoi due interlocutori – il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel – sedevano in poltrona, continua a scuotere il mondo politico. Mentre si rimpallano le responsabilità (e nascono nuove tensioni tra la Turchia e l’Italia), l’effetto ottico è pessimo, per l’Europa, e per lo stesso Michel.
Poco importa che il protocollo istituzionale dia la precedenza al presidente del Consiglio europeo. Le critiche piovute sull’ex premier belga, 45 anni, sottolineano la sua mancanza di signorilità, puntano il dito contro il difficile rapporto personale con la presidente della Commissione e contro la dannosa diarchia alla guida dell’Unione. In un incontro con un gruppo di giornali europei, tra cui Il Sole 24 Ore, Charles Michel ha voluto giustificare il suo comportamento.
«Mi spiace molto per l’accaduto. Ho già espresso il mio rincrescimento alla signora von der Leyen e a tutte le donne – ha spiegato –. Vi assicuro che da allora non dormo bene la notte e che nella mia testa ho riavvolto il film dell’episodio decine di volte. Assumo la mia parte di responsabilità. Dovremo evitare situazioni di questo tipo in futuro. Purtroppo, la vicenda ha contribuito ad occultare la sostanza dell’incontro con il presidente Erdogan e in questo frangente la capacità dell’Unione di mostrare unità».
Perché Lei non si è seduto accanto alla signora von der Leyen o non le ha lasciato il posto sulla poltrona?
Ho avuto qualche secondo per decidere l’atteggiamento da avere. Sul momento, la mia impressione è stata che una eventuale reazione avrebbe messo in dubbio il lungo lavoro diplomatico che aveva preparato la nostra visita. Inoltre, non volevo avere nei confronti della signora von der Leyen alcun atteggiamento paternalista. Detto ciò, rispetto le opinioni contrarie e capisco le critiche che mi sono state rivolte.
Insomma, temeva che l’incidente sarebbe stato politico, non solo protocollare?
Non dimentichiamoci che nei mesi scorsi le tensioni nel Mediterraneo (con l’invio di navi turche al largo di Cipro e Grecia, ndr) ci avevano realmente preoccupato. Temevamo di essere vicini a un incidente grave. L’obiettivo della visita è stato di riaprire un dialogo positivo con la Turchia. Spero che a un certo punto torneremo alla sostanza dell’incontro: lo Stato di diritto, la modernizzazione dell’unione doganale, la cooperazione economica, la stabilità regionale.
Nel frattempo, il premier italiano Mario Draghi ha definito «dittatore» il presidente Erdogan. Condivide questa affermazione?
Rispetto le opinioni espresse da ciascun capo di Stato e di governo europeo. Qui voglio osservare che una parte significativa del nostro incontro con il presidente turco ha riguardato la difesa dei valori democratici e dello Stato di diritto. Abbiamo espresso le nostre preoccupazioni.
In ballo, c’è anche il rinnovo dell’accordo migratorio, siglato nel 2016 e che impegna Ankara ad accogliere i migranti provenienti dal Vicino Oriente in cambio di aiuti economici. A che punto siamo?
L’intesa deve essere rinnovata. Spetta alla Commissione europea mettere sul tavolo proposte concrete. Vi saranno anche cifre.
Più in generale, la diarchia Consiglio -Commissione europea sembra mostrare la corda, proprio mentre la Ue ambisce a una nuova sovranità. Non crede che l’incidente di Ankara, così come le debolezze nell’affrontare la crisi sanitaria, impongano cambiamenti all’assetto istituzionale e che la Conferenza sul futuro dell’Europa appena inaugurata debba portare a una modifica dei Trattati?
Abbiamo preso in questi mesi decisioni importanti sul piano economico e ambientale, influenzando le posizioni di altri Paesi – a cominciare dalle nuove proposte americane sulla tassazione delle imprese, frutto delle pressioni europee. Prima di gettare alle ortiche l’attuale sistema istituzionale dobbiamo valutarne gli aspetti positivi. La particolarità del progetto europeo, senza confronto al mondo, è che si basa su due legittimità: la prima è comunitaria; la seconda è nazionale. C’è sempre una tensione tra la legittimità della Commissione e del Parlamento e la legittimità dei Paesi attraverso il Consiglio e il Consiglio europeo. Sono le due gambe sulle quali deve camminare l’Europa. Probabilmente questo tema emergerà durante i lavori della Conferenza: come facciamo a far funzionare bene l’Europa sulle sue due gambe, con le sue due legittimità.
Per concludere: sui piani di rilancio nazionali teme ritardi?
L’accordo di luglio (che ha portato alla nascita di un Recovery Fund da 750 miliardi,ndr) è stato storico, ora dobbiamo metterlo in pratica. Finora, 16 governi hanno ratificato la decisione sulle risorse proprie (che consentirà a Bruxelles di indebitarsi sui mercati, ndr). Nel frattempo, i Paesi stanno mettendo a punto i piani nazionali. Giugno e luglio saranno importanti perché ai piani verrà dato il benestare Ue, e da allora potremo impegnare i mezzi finanziari previsti.
Pensa che un secondo Fondo per la Ripresa si rivelerà necessario?
Non sono d’accordo con coloro che mettono a confronto il piano di sostegno americano con quello comunitario, sottolineando la maggior robustezza del piano Usa. Prima di tutto, nel piano comunitario non vengono considerati i mezzi messi a disposizione dai Paesi. In secondo luogo, in Europa esistono ammortizzatori sociali, che negli Stati Uniti sono pressoché assenti. Quindi, rispondendo alla sua domanda, considero il piano europeo robusto.