A Granada possibile incontro tra la premier e il cancelliere, dopo le tensioni tra Italia e Germania
Giorgia Meloni ci ha pensato a fondo prima di emettere quella nota durissima in cui definisce «incredibili» le motivazioni del magistrato di Catania, in cui gli argomenti giuridici usati per disapplicare una norma vigente sono stati «scagliati», è ancora il linguaggio di Palazzo Chigi, contro le decisioni di «un governo democraticamente eletto». Un governo che proprio in queste ore ha bisogno di tessere nuovamente la tela delle relazioni internazionali, per fronteggiare l’emergenza migratoria che non accenna a fermarsi. E per questo ha deciso di provare a spianare la strada per una pace con Berlino.
Fonti di Palazzo Chigi, ieri pomeriggio, facevano trapelare l’ipotesi che a Granada, fra due giorni, nel corso del Consiglio europeo, proprio Meloni e Olaf Scholz possano avere un incontro a due, per chiarirsi rispetto alla vicenda delle ong finanziate dal governo tedesco. A questo stanno lavorando gli uffici dei due esecutivi: ci sarebbero «diverse idee» sul tavolo e si sta lavorando «per trovare un punto d’incontro», spiegano fonti diplomatiche.
Sarebbe dopotutto naturale, visti gli ottimi rapporti che i due leader hanno sviluppato sin dai primi giorni del governo guidato da Meloni, che dopo Bruxelles scelse proprio Berlino come prima capitale dell’Unione europea dove recarsi in visita bilaterale.
Al di là dei migranti, del resto, le convergenze fra i due governi non sono poche, basti pensare che due aziende (una italiana e l’altra tedesca) hanno iniziato a scavare sotto le Alpi per costruire quel terzo gasdotto che dovrebbe moltiplicare i flussi di energia dal Sud verso il Nord Europa.
Ma mentre, appunto, la macchina diplomatica era al lavoro, sul fronte interno deflagrava la polemica giudiziaria sulla sentenza di Catania. E la premier, sia d’intesa con il ministero della Giustizia sia con i suoi più stretti collaboratori, ha ritenuto di dover intervenire. In modo molto duro, perché, come dice un autorevole membro dell’esecutivo, «qui non c’è solo il gesto politico, molto grave, non ci sono solo le considerazioni politiche di un magistrato, sempre cosa molto grave, qui c’è il rischio altissimo di emulazione, di un corto circuito fra magistratura e legislatore, che va evitato in ogni modo».
Letta in questo modo, su una linea di collegamento fra via Arenula e Palazzo Chigi, la nota della premier non solo giudica l’atto della toga di Catania che ha disapplicato un pezzo del recente decreto sui migranti, ma soprattutto si fa carico di evidenziare i rischi che un atto del genere può avere a cascata. Dallo staff di Meloni lo sottolineano: «La conflittualità fra magistratura e politica fa male e ha sempre fatto malissimo al Paese, ma proprio per questo alcune cose non possono essere taciute». Di sicuro Palazzo Chigi presenterà un ricorso, chiederà una valutazione ulteriore, ma quello che «non è ammissibile — continuano fonti di governo — è la disinvoltura con cui un atto legislativo viene disapplicato, c’è un rischio serio per la divisione dei poteri e la democrazia, quei principi cari a tutti, a cominciare dai magistrati».
Insomma di legna al fuoco ce n’è abbastanza per auspicare che la brace si consumi con il passare dei giorni senza lasciare troppi strascichi. Sullo sfondo, anche altri dossier: non è un segreto che il fascicolo del magistrato, cruciale per una valutazione della produttività e delle carriere, istituito con legge delega da Mario Draghi, sia ancora fermo in Parlamento. Il ministro Nordio ha finora seguito i lavori di una commissione da lui istituita, ma non c’è ancora una sintesi politica della maggioranza sull’argomento.
Sintesi che invece viene rivendicata dalla stessa Meloni, «sia con Salvini che con Tajani» su ogni iniziativa politica assunta, sui migranti come sui commenti su governo tecnico e spread: «I rapporti fra noi tre sono ottimi, non ho bisogno di avvertire nessuno, siamo tutti consapevoli di far parte della stessa squadra».