ESTERI
Fonte: La Stampa
La proposta in un “non paper” fatto circolare in ambienti Ue: «Il fardello va condiviso con Paesi terzi, sostenendoli con i fondi europei e della comunità internazionale»
Prendere a bordo Egitto e Tunisia, coinvolgere i due paesi nell’impresa immane di «Search and rescue» in corso nel Mediterraneo, sostenendoli con i soldi e consiglio dell’Unione europea e della comunità internazionale. Cominciare così, suggerisce il governo italiano, a coinvolgere i paesi terzi nella sorveglianza delle acque comuni, per salvare anime e controllare meglio i flussi migratori. «L’obiettivo – è il principio guida elaborato a Roma – dovrebbe essere quello di condividere il pesante fardello coi paesi terzi che intendono impegnarsi e assumersi a loro parte di responsabilità nella gestione di un’emergenza umanitaria che non ha precedenti».
Due pagine per una proposta fatta circolare in silenzio per vedere di nascosto l’effetto che fa. E’ un «non paper», un testo che c’è e non c’è, che serve a misurare la fattibilità di un’idea per cercare di disinnescare una crisi gravissima. Un’ipotesi fra molte altre, difficile, soprattutto alla luce degli ultimi eventi di Tunisi. Eppure resta una soluzione da non scartare, nella consapevolezza che l’unica soluzione finale potrà venire solo con la stabilizzazione della Libia.
Gli sherpa italiani hanno presentato e discusso il documento coi ministri europei dell’Interno del Consiglio della scorsa settimana, quindi col commissario Avramopoulos. Un testo secco e carico di cifre che dimostrano l’emergenza. «Come forse sapete – recita la versione vista da La Stampa – più di 170.000 migranti irregolari, partiti soprattutto dalla Libia, sono stati soccorsi in mare e condotti in Italia nel 2014». Nei primi due mesi di quest’anno, «nonostante la fine di Mare Nostrum, gli irregolari sbarcati sono il doppio rispetto nello stesso periodo dello scorso anno (7.822 contro 4.548)». I morti del 2015 sono stati oltre 3500.
Bisogna agire. Anzi «serve un cambiamento radicale della strategia», suggerisce l’Italia, preoccupata anche del «rischio (alto) che i proventi di questo traffico criminale possano essere utilizzati per finanziarie attività terroristiche». Che fare? Detto che «le misure già adottate e quelle che si intende potenziare sono di grande importanza», occorre fare di più, ovvero «dobbiamo garantire livelli di assistenza sempre più elevati, migliori procedure di identificazione e processi di asilo, garantendo nel contempo il ritorno di coloro che non hanno diritto a una protezione internazionale protezione». E’ il medio termine. però è chiaro che l’ondata sta arrivando. E che non c’è tempo da perdere.
Ecco il dunque. Posto che la Libia «non è in grado di controllare le proprie coste», il «non paper» afferma che «una valida opzione è un coinvolgimento graduale e diretto dei paesi terzi affidabili nell’attività di sorveglianza marittima, nonché nel “Search and rescue”». E’ una questione di interesse comune. Ma «c’è anche da considerare che ultimamente, e sempre più spesso, si verificano tragedie del mare proprio al largo delle coste libiche in cui i paesi terzi, grazie alla vicinanza geografica, potrebbero intervenire in modo più rapido ed efficace per salvare il maggior numero possibile di vite».
Mare Nostrum di tutti, quindi. Il che, in concreto, secondo l’Italia significherebbe attivare «meccanismi ad hoc di cooperazione operativa». Sulla questa base, e «su richiesta delle Autorità italiane e ove fattibile, le unità navali di paesi terzi, che sono responsabile per le zone S&R vicino alla Libia, potrebbero intervenire per dare soccorso». Successivamente, potrebbero portarli ai propri porti, in base al principio di “luogo sicuro”, come previsto dal diritto del mare. In Africa e non in Europa, per dirla geograficamente. L’Ue, in cambio, dovrebbe offrire «finanziamenti e assistenza tecnica». Gli stati membri, le agenzie europee e le istituzioni internazionali (come Onu e Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) potrebbero offrire il loro sostegno tecnico. «Dal nostro punto di vista – insistono gli italiani – questo nuovo possibile modello per affrontare le enormi sfide poste dalla crescente pressione migratoria nel Mediterraneo potrebbe anche produrre un reale effetto deterrente». Meno migranti sarebbero pronti a giocarsi la vita per raggiungere le coste europee, si assicura. Chissà. Bisognerebbe provare. Ora il dibattito è aperto.