Fonte: Corriere della Sera
di Fiorenza Sarzanini
Si discuterà sullo strumento finanziario più adatto. Ma non ci saranno passi indietro. Sulla rotta mediterranea prevalgono i migranti economici, la complessità della sfida è legata alla natura mista dei flussi (rifugiati e migranti economici)
L’Italia va avanti, il piano per l’Africa rimane una priorità. Perché a fronte del «no» di Berlino all’utilizzo degli eurobond per finanziare gli interventi in materia di immigrazione, c’è il «sì» convinto dei leader dell’Unione Europea all’intervento diretto nei Paesi d’origine. E dunque la linea è decisa: si discuterà sullo strumento finanziario più adatto, ma non ci sarà alcun passo indietro rispetto al progetto. La delegazione diplomatica a Bruxelles, in accordo con i ministeri dell’Interno e delle Finanze, ha messo a punto le «misure» per favorire l’accordo con gli Stati da cui partono gli stranieri. E adesso la parola d’ordine è fare in fretta. Anche perché in Italia nei Cie, i Centri di identificazione ed espulsione, ci sono appena 250 posti e dunque organizzare i rimpatri è pressoché impossibile visto che la legge impone il passaggio nelle strutture prima del rientro forzato nello Stato di appartenenza. Fino allo scorso anno la media era di 50 rimpatri a settimana, ormai si viaggia su poche decine di stranieri al mese e comunque con provvedimenti estemporanei. In accoglienza nelle strutture ci sono oltre 110 mila fra uomini, donne e bambini. E il loro numero certamente aumenterà entro breve.
La rotta del Mediterraneo
Dopo l’intesa raggiunta a Bruxelles con la Turchia per far rientrare i profughi arrivati in Grecia e la chiusura di fatto della rotta balcanica, l’eventualità più concreta è che chi scappa dalle guerre scelga un altro percorso e dunque la strada che passa proprio per l’Africa e arriva da noi attraverso il Mediterraneo. Sono centinaia di migliaia di persone disposte a tutto pur di riuscire a raggiungere l’Europa, che si sommano a chi già da mesi è sulle coste della Libia e dell’Egitto. Tutti in attesa di imbarcarsi pure su mezzi di fortuna, rischiando la vita per inseguire la speranza di trovare una sistemazione definitiva. Tra loro tantissimi migranti economici, che non hanno diritto all’asilo ma tentano comunque la traversata convinti che alla fine riusciranno a non essere rimpatriati. Sono i dati relativi agli sbarchi di quest’anno a dimostrare che gli arrivi dall’Africa non riguardano soltanto chi ha diritto all’asilo. Le regole fissate in Europa impongono infatti il riconoscimento automatico dello status di rifugiato soltanto a siriani ed eritrei, mentre per gli altri il rilascio del permesso non è affatto scontato. Tra il primo gennaio e il 18 aprile 2016, su 24,948 persone giunte sulle nostre coste, soltanto 1.579 erano eritree, mentre non si registra alcun siriano.
Erasmus, nuove quote e formazione
Il problema di fronteggiare un esodo così imponente è ben spiegato nel documento trasmesso all’Unione Europea quando si sottolinea come «la complessità di una tale sfida è legata alla natura mista dei flussi (sia rifugiati e migranti economici). Le azioni intraprese nel percorso orientale hanno a che fare con flussi misti con una maggiore componente di rifugiati a causa della guerra civile in Siria. I flussi attraverso il percorso del Mediterraneo centro occidentale sono invece composti principalmente da migranti economici e si prevede che possano proseguire nel medio-lungo termine. L’Unione Europea dovrebbe quindi essere pronta ad affrontare entrambe le sfide — tenendo conto che quella dei migranti economici è previsto possa durare decenni — così come l’apertura di altri percorsi possibili». Nel piano messo a punto dall’Italia, esaminato in queste ore a Bruxelles ma anche nelle cancellerie dei vari Stati, sono previsti veri e propri incentivi che si traducono in «quote di ingresso per i lavoratori, informazioni sulle opportunità di lavoro in Europa per i Paesi cittadini terzi, misure di pre partenza (tra cui lingua e formazione professionale in collaborazione con le imprese europee pronte a impiegare manodopera dai Paesi terzi, incontro tra domanda e offerta di posti di lavoro, l’integrazione professionale e sociale degli Stati membri, i programmi Erasmus plus per studenti e ricercatori host».