22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

La cena informale a Bruxelles non ha dato il consenso necessario al documento della presidenza slovacca che voleva aprire la strada alla ‘solidarietà flessibile’ e che avrebbe previsto quote non rigide ma dipendenti dalla volontà di ogni singolo Paese. L’Italia si era espressa contro l’ipotesi avanzata dai Paesi dell’Est

L’Unione europea boccia la linea dura di Ungheria, Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca sui migranti. Il documento della presidenza slovacca di turno al Consiglio Ue, che cercava di aprire la strada alla ‘solidarietà flessibile’, non ha ricevuto il consenso necessario per andare avanti. Lo hanno rivelato fonti italiane al termine della cena informale organizzata a Bruxelles. Durante la discussione il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha chiesto alla Commissione Ue di riverificare il calendario degli obblighi sul ricollocamento dei vari Paesi per rimettere in moto il processo, la cui conclusione è prevista per settembre 2017. Tra pochi mesi sarà costituito un gruppo ad hoc – di cui l’Italia farà parte – per gettare le basi per un nuovo documento, con l’obiettivo di raggiungere un accordo sulla revisione del regolamento di Dublino.
Il documento slovacco, “Solidarietà efficace”, era un cosiddetto ‘non paper’ di due pagine scarse, ed era annunciato da mesi: la presidenza slovacca tentava così di far passare la linea della “flessibilità”. Al fianco dell’Italia in prima linea Grecia e Malta, ma “numerosi” erano i Paesi a cui il documento non piaceva. “Gli unici a gradirlo davvero sono i quattro Paesi Visegrad” (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), hanno affermato fonti diplomatiche europee.
Il documento slovacco smantellava l’idea di solidarietà obbligatoria prevista della proposta della Commissione europea. Tutto quanto vi è previsto è su base volontaria. “Il punto di partenza” è che tutti gli Stati “contribuiscano per condividere il peso” delle crisi migratorie. “Ma – si osserva – ci sono molti modi” per farlo: “dal ricollocamento, al supporto finanziario, al sostegno per la protezione delle frontiere esterne, alla condivisione delle capacità di accoglienza o nel rivestire un ruolo più incisivo nelle operazioni di rimpatrio”. E a questo proposito si introduce addirittura il concetto di “ricollocare chi deve essere rimpatriato, vale a dire: l’assunzione di responsabilità da parte dello Stato membro” di riportare i migranti al loro Paese di origine.
Per questo veniva proposta una “strategia su tre pilastri”, o meglio sulla base di tre scenari, adattabile “a seconda dei livelli” dei flussi di migranti. La prima ipotesi, in “circostanze normali”, prevedeva un “aggiornamento” dell’attuale sistema. Quindi, con un numero moderato di arrivi, si punta a “rimediare alle attuali carenze” con la “riduzione dei movimenti secondari”. Il secondo scenario era invece riferito “ad un meccanismo su misura, per contribuire alla solidarietà, in circostanze deteriorate”. In questo caso, in alternativa ai trasferimenti di richiedenti asilo negli Stati membri, si prevedono “contributi finanziari ai Paesi sotto pressione”; “una maggiore contribuzione all’Ufficio europeo per l’Asilo (Easo) o all’ Agenzia europea delle guardie di frontiera”, o alle “operazioni congiunte di rimpatrio”; o ancora, “la condivisione di centri di accoglienza durante il trattamento delle richieste d’asilo”.
La terza e ultima eventualità riguardava invece “un meccanismo di crisi eccezionale per circostanze gravi”. In questo caso non si entra nel dettaglio, salvo dire che “tutti gli Stati membri dovranno essere parte della soluzione, sotto la guida del Consiglio europeo, che deciderà misure di sostegno aggiuntive”, ma solo “su base volontaria”.

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