Tutta la nostra storia è piena di italiani che se ne andarono dalle nostre terre
Valli a capire, i nostri nonni emigrati. Sostiene oggi Matteo Piantedosi, il ministro degli interni, che «la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli». Ma tutta la nostra storia è piena di italiani che se ne andarono dalle nostre terre rischiando il tutto per tutto. «Angela Vitale maritata Di Rosa, da Canicattì, era rimasta sola con sei bimbi, mentre il marito, espatriato clandestinamente, aveva trovato lavoro in Francia» e lì, raccontava una copertina della Domenica del Corriere del dicembre 1947, aveva cercato di raggiungerlo, «valicando le Alpi a piedi. A questo scopo si era messa in viaggio dalla lontana Sicilia con i suoi sei bambini. Avventuratasi su per le montagne del Piemonte, in compagnia di viandanti trovati cammin facendo, priva di equipaggiamento da montagna e di viveri sufficienti, la povera donna si è trovata al cader della notte in mezzo alla bufera in alta montagna e, mentre i due sconosciuti proseguivano la strada verso la Francia, la poveretta rimaneva sola con i suoi piccoli che le si stringevano attorno per ripararsi dal gelo. Verso l’alba veniva rinvenuta da un contrabbandiere che pensava a chiamare aiuti. Ma oramai uno dei suoi bambini era morto assiderato».
E tutti gli altri italiani morti sulle «navi di Lazzaro» infestate dalle malattie (96 decessi per colera sul solo piroscafo Remo respinto dal Brasile) o negli innumerevoli naufragi come quello nel 1906 del vapore Sirio diretto in Sudamerica, oltre 500 vittime nell’urto contro lo scoglio di Capo Palos, in Spagna, tra i quali sei figli e la moglie incinta di Felice Serafini che scappavano da un Veneto poverissimo? Tutti sconsiderati? E quanti furono i poveretti che partirono dall’ Irpinia o magari proprio dalla contrada Piantedosi da dove sarebbe originario il titolare del Viminale? Denunciò allora la commissione d’inchiesta parlamentare guidata da Stefano Jacini che lì non c’era lavoro, «la miseria e la fame erano un po’ per tutti», le case erano «poco luminose, poco aerate ed anguste; scarse le masserizie e tutto affumicato e lurido, e spesso nelle ore della notte tale abituro è diviso fraternamente coi polli e col maiale…» Cosa dovevano fare, i poveretti: aspettare, come suggerisce oggi il ministro, «politiche responsabili e solidali degli Stati ad offrire la via di uscita al loro dramma»?
E tutti gli altri italiani morti sulle «navi di Lazzaro» infestate dalle malattie (96 decessi per colera sul solo piroscafo Remo respinto dal Brasile) o negli innumerevoli naufragi come quello nel 1906 del vapore Sirio diretto in Sudamerica, oltre 500 vittime nell’urto contro lo scoglio di Capo Palos, in Spagna, tra i quali sei figli e la moglie incinta di Felice Serafini che scappavano da un Veneto poverissimo? Tutti sconsiderati? E quanti furono i poveretti che partirono dall’ Irpinia o magari proprio dalla contrada Piantedosi da dove sarebbe originario il titolare del Viminale? Denunciò allora la commissione d’inchiesta parlamentare guidata da Stefano Jacini che lì non c’era lavoro, «la miseria e la fame erano un po’ per tutti», le case erano «poco luminose, poco aerate ed anguste; scarse le masserizie e tutto affumicato e lurido, e spesso nelle ore della notte tale abituro è diviso fraternamente coi polli e col maiale…» Cosa dovevano fare, i poveretti: aspettare, come suggerisce oggi il ministro, «politiche responsabili e solidali degli Stati ad offrire la via di uscita al loro dramma»?