Il numero di morti e feriti oltre il milione. In piazza Maidan, davanti alle bandierine dei caduti, ufficiali e familiari: le voci dal luogo simbolo tra orgoglio e disperazione
Tre altri soldati si abbracciano e incoraggiano a vicenda: sono ufficiali della leggendaria Terza Brigata d’assalto e stasera saranno assieme sul treno per tornare al fronte nella zona di Kupiansk. «Vogliamo vendicare i nostri morti. Putin deve pagare caro l’errore di averci attaccato e Zelensky non può svendere la nostra terra in cambio di un finto accordo, dobbiamo vincere a tutti i costi», dicono.
A una decina di metri, una coppia di anziani genitori recita una preghiera dopo avere a sua volta piantato la bandierina dove hanno scritto a mano col pennarello nero il nome del figlio caduto due settimane fa nel Donbass: Igor, era di Chernihiv e aveva 24 anni. L’inchiostro deve essere di cattiva qualità, perché nell’umido si sta già dissolvendo. Alexandra ha gli occhi arrossati, sembra abbia pianto tanto negli ultimi giorni. «Questa è per papà Oleh, che aveva appena compiuto 46 anni ed è morto a Bakhmut l’anno scorso. Quest’altra è per Vinceslav, il padre di mio marito, caduto 55enne vicino a Pokrovsk un mese fa. Poi c’è mio cugino Sergi, 32 anni, che era come un fratello e giocavamo assieme da piccoli. Infine, Bogdan, anche lui 32enne morto per difendere Kharkiv, ed era il figlio dei nostri vicini di casa. Sono tutti partiti volontari, non hanno aspettato di essere reclutati. Se avessi parlato con loro, ti avrebbero spiegato che non c’era alternativa e che i russi andavano fermati con le armi. Ma sai cosa ti dico io oggi? Basta! Non possiamo più andare avanti in questo modo. Occorre che Zelensky arrivi al più presto a un compromesso con Putin. Non la pensavo affatto così un anno fa. Ma il Paese non ce la fa più, meglio vivi e occupati adesso, che morti per sempre», dice piantando le bandierine.
Accanto a lei,Marina Shastopalova, 40 anni della regione di Sumy, sfiora con la mano l’immagine di Igor Riedun, che aveva 29 anni ed è morto nell’enclave di Kursk a fine agosto. «Facile parlare di eroismo e guerra a oltranza, quando si sta comodamente a casa propria lontani dal fronte. Il nostro villaggio si trova a 40 chilometri dal confine russo, ogni giorno in chiesa celebriamo il funerale di un soldato. Dobbiamo assolutamente lavorare per la fine della guerra e voi europei dovreste garantirci», esclama.
Luogo simbolo
Due anni fa sarebbe stato quasi impossibile per un reporter straniero raccogliere testimonianze come quelle di Alexandra e Marina. Ma a mille giorni oggi dall’inizio dell’invasione russa sono abbastanza comuni tra la folla di civili e militari (molti di loro feriti o convalescenti) che di continuo si ferma a onorare i caduti a Maidan, nel cuore di Kiev. Un luogo iconico del dolore e della lotta per l’indipendenza contro l’espansionismo russo. Le bandiere ai caduti non sono state piantate per volere della municipalità o delle autorità militari. Piuttosto, sono iniziate a spuntare nella grande aiuola presso l’ingresso del metrò in modo spontaneo nel maggio del 2022, quando amici e famigliari dei caduti di Bucha, Irpin e le altre cittadine attorno alla capitale appena liberate sono venuti di loro iniziativa a ricordare chi era morto per la libertà. Maidan, che significa piazza, era già il simbolo che ricordava la rivolta arancione del 2004 e poi le sommosse violente contro l’ingerenza russa del febbraio 2014. Vi si trovano anche le foto dei caduti di allora.
Le cifre
Oggi, quelle prime decine di morti si sono moltiplicate all’ennesima potenza. Quanti? Cifre precise non esistono e sono strumentalizzate dalle due propagande nemiche. Quelle riferite ai soldati ucraini variano, a seconda delle fonti, da circa 50.000 a ben oltre 80.000, cui si aggiungono i 250.000-400.000 feriti. Quanto ai civili ucraini, le Nazioni Unite riportano oltre 12.000 uccisi e circa 30.000 feriti. Ma sono dati per difetto. Impossibile, per esempio, avere notizie precise sui massacrati di Mariupol, c’è chi sospetta possano essere anche 20.000. Gli osservatori di cose militari occidentali segnalano che i soldati russi morti potrebbero essere tra 115.000 e 190.000, i feriti sino a 400.000.
Cifre da paura, che tuttavia trovano tanti ucraini ancora disposti a combattere con il fucile in mano. E questo va detto con chiarezza: a Maidan si raccolgono tante voci di stanchezza e dolore, però anche volontà di lotta e resistenza. «Oltre 20 tra i 30 componenti della mia unità d’assalto inquadrata nelle 72esima Brigata Meccanizzata sono morti o rimasti gravemente feriti nell’ultimo anno. Io a luglio sono stato ferito vicino a Chasiv Yar, a fine mese tornerò al fronte nel Donbass. E lo dico seriamente, per la memoria dei nostri morti e per i loro figli che meritano di vivere da uomini liberi, oggi non possiamo arrenderci. Vorrebbe dire che i miei compagni sono morti invano. Zelensky non lo può fare. Non ha il diritto di svendere le nostre terre e la nostra libertà. Altrimenti doveva farlo prima. Se ci arrendiamo adesso, perché abbiamo combattuto? Come possiamo spiegarlo ai figli dei nostri compagni caduti?», dice il 44enne soldato scelto Sergei Jalibin.
Lo ripete il sergente maggiore 57enne Mikola Bigugnak della 21esima Brigata trincerata nel saliente di Kursk: «Non si molla. Continuiamo a lottare. E voi europei dovete mandare armi».
A Maidan c’è spazio per ogni opinione. Nessuno regola questa piazza quasi fosse l’agorà della guerra. Vitaly e Alina, due gemelli di 22 anni, stanno piantando un vessillo con la foto di Vladislav, il fratello 26enne morto a Bakhmut. Hanno scritto: «La vita senza te non è vita». Commenta Dimitro Safronov, 36 anni, che il 30 novembre 2022 ha perso la gamba sinistra su una mina a Kreminna: «Occorre ragionare, si deve trovare un compromesso. Ci sarà il modo di stringere un accordo senza dovere morire tutti!».