Ancora tensioni con Berlusconi sulla senatrice. Il manager in corsa per una delega all’Energia
Si stringono i tempi. Tra oggi e domani si terrà il vertice dei leader per sciogliere i tanti nodi ancora intricati e permettere poi a Giorgia Meloni di definire la sua squadra di governo. In realtà, a meno di sorprese, bisognerà attendere il 21 ottobre per la nascita dell’esecutivo, quando Mario Draghi tornerà dal vertice europeo sull’energia. Ma Meloni sa quanto sia urgente chiudere questa lunghissima fase in cui a dominare la scena sono state le trattative sui posti, le liti con gli alleati: Berlusconi è ancora furioso per quelli che considera «veti» inaccettabili sui suoi, la Lega è impegnata in più d’un braccio di ferro.
Per questo vuole essere «pronta», e comunicare all’esterno che il suo governo non sarà quello delle beghe e del Cencelli. Pur sapendo che alla fine, per quanto lei voglia scremare dai nomi proposti dagli alleati, non tutti potranno essere da libro dei sogni. Anche per questo da Fratelli d’Italia contrattaccano: il loro governo non sarà certo meno autorevole dei precedenti. E respingono il clima da esame da superare: «Abbiamo nomi assolutamente all’altezza nei nostri partiti. All’Economia mi sembra che il Pd mise Gualtieri, laureato in Storia. Noi avremo un laureato in economia…», assicura Giovanbattista Fazzolari, anche se sul Mef è rebus, con qualche speranza ancora di coinvolgere Panetta e altri nomi di tecnici sullo sfondo: l’ex ministro Siniscalco, Scannapieco (Cdp), Mazzotta (Ragioniere generale), Cipollone (Bankitalia) tra i nomi che girano.
Ma il primo appuntamento sarà sui presidenti delle Camere. In FdI si considera pressoché chiuso l’accordo: Ignazio La Russa al Senato e il leghista Riccardo Molinari alla Camera. Meloni non ha intenzione di cedere e vuole destinare la seconda carica dello Stato a un suo fedelissimo, di grande esperienza. Ma la Lega ancora tiene viva la candidatura di Calderoli per Palazzo Madama, anche per non dare l’idea di un cedimento su troppi fronti.
Sarà il primo accordo da chiudere al vertice (si vota da giovedì), ma non il solo. Perché gli alleati ancora sono in trincea, temendo che la prossima premier voglia adottare il «metodo Draghi», scegliendo lei quali uomini dei partiti alleati nominare ministri e dove. E in effetti sembra che, se per strategia o convinzione si vedrà, il «rischio» non sia affatto escluso. Tra i nomi per l’Economia, confermano infatti da FdI, ci sarebbe ancora quello di Giorgetti: non proprio un gesto affettuoso per Salvini, se è vero che scegliere un esponente della minoranza per un dicastero di gran peso sarebbe una mossa pesante.
Apertissimo è il caso Ronzulli. Berlusconi non cede: per lei continua a pretendere un dicastero di peso, «con portafoglio», se non la Sanità, come da prima richiesta, o le Infrastrutture o l’Agricoltura; possibile mediazione, il Turismo. Ma Meloni al momento non ci sta: per Ronzulli era stata proposta la vicepresidenza del Senato, inutilmente. Il caso, secondo la leader di FdI, sta già danneggiando l’immagine dell’esecutivo, e se le cose vengono messe così allora potrebbe escludere del tutto la fedelissima del Cavaliere dalla squadra, confermando invece Antonio Tajani agli Esteri. Una casella questa che sembra tra le più sicure; ieri anche una possibile candidata come Elisabetta Belloni, a capo del Dipartimento informazioni per la Sicurezza, ha chiarito: «No, non farò il ministro perché faccio un altro lavoro». Urso è invece sempre più solido alla Difesa, il prefetto Piantedosi rimane favorito per gli Interni, Nordio alla Giustizia.
Ultimo capitolo, cruciale, gli altri ministeri economici. C’è anche un’ipotesi che non corrisponde all’idea di base di Meloni — e cioé, il toccare meno possibile ministeri e deleghe in modo da essere operativi subito — che però è in corso di valutazione: istituire un ministero all’Energia. Superando l’attuale accorpamento della delega al ministero per la Transizione ecologica ma anche quello precedente con lo Sviluppo economico. Un ministero che sottolineerebbe la crucialità del tema energetico, da affidare a una personalità come il già amministratore delegato di Enel ed Eni Paolo Scaroni. Mentre il presidente di Imi Intesa Gaetano Micciché, che non dispiacerebbe affatto a Silvio Berlusconi, al fixing di ieri scontava lo scontro in corso tra azzurri e FdI.
Oggi al lavoro saranno gli sherpa. Poi, bisognerà stringere.