24 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Francesco Bei

Allarme del ministro dell’Interno: un quadro senza eguali in Europa. Il nuovo governo continui con le espulsioni contro i radicalizzati

Il quadro che è venuto fuori dall’inchiesta sull’imam di Foggia «non ha eguali in Occidente». Gli investigatori italiani sono riusciti a penetrare un «cuore di tenebra» del terrorismo islamico, che aveva trasformato un centro culturale in una madrasa di Raqqa. Di questo parla il ministro Marco Minniti e di quello che lascerà in eredità al suo successore: dal patto per l’Islam, all’antiterrorismo fino al «modello» di gestione dei flussi migratori dal Nord Africa. Ne parla mentre sullo schermo del computer scorrono le agenzie che raccontano della scelta dei nuovi capigruppo del Pd. L’occhio ci cade, ma la bocca resta sigillata.

Sembrava che l’allarme terrorismo stesse scemando, ce ne eravamo quasi dimenticati. E invece in pochi giorni prima l’attentato a Carcassonne, poi la caccia all’uomo a Roma, infine scopriamo che a Foggia un imam insegnava in italiano ai bambini come «sgozzare» gli infedeli. Non è finita dunque?
«Nessuno ha mai detto che fosse finita. Il quadro della minaccia di Isis rimane radicalmente immutato. Anzi, la caduta di Raqqa e Mosul, se da una parte fa venir meno l’elemento “territoriale” del Califfato, dall’altro aumenta la pericolosità dell’altra componente, quella terroristica».

Possibile?
«Sì, perché lo Stato islamico è stato capace di arruolare 25-30 mila foreign fighters da circa 100 Paesi diversi. La più importante legione straniera che la storia moderna ricordi. Molti sono morti, ma i sopravvissuti stanno cercando rifugio altrove. Anche qui in Europa».

Teme che ci siano altre «Al Dawa» in Italia come quella di Foggia?
«La cosa importante oggi è soffermarci su questa indagine esemplare, che ha dimostrato con prove solari uno scenario assolutamente agghiacciante. Una cosa che non ha eguali in Occidente. L’unica cosa che si può associare alla “scuola” di Foggia sono le immagini che provenivano dal profondo dell’Iraq e della Siria, quelle di bambini addestrati a usare la pistola o utilizzati per esecuzioni capitali».

«Occorre rompere i crani dei miscredenti e bere il loro sangue», diceva l’Imam. Come recuperare dei bambini – e anche forse dei genitori – a cui è stato fatto questo lavaggio del cervello?
«Certamente gli educatori e gli psicologi dovranno lavorare molto. Ma l’importante è che, grazie a un’indagine svolta da personale super-specializzato, siamo stati capaci di penetrare un “cuore di tenebra”. Lì veniva utilizzato il vocabolario tipico dell’Isis e di Al Adnani, il ministro della propaganda del Califfato. L’elemento di novità assoluta è che tutto questo avviene qui, non a Dacca o nei territori dell’Isis. Nel cuore dell’Europa».

Il patto che lei ha siglato con l’Islam non ha funzionato?
«Al contrario, questa inchiesta rende evidente quanto ci fosse bisogno di quel patto e richiama lo stesso Islam italiano a una responsabilità ancora più forte. Il primo punto del patto era fare delle moschee dei luoghi pubblici, dove ci fosse una conoscenza pubblica degli imam. E i sermoni in italiano».

Ma questo imam di Foggia parlava in italiano. Questo non gli impediva di predicare odio.
«L’italiano non protegge dal reato, rende però tutti quelli che ascoltano immediatamente consapevoli. Non hai bisogno di aspettare la traduzione di un’intercettazione ambientale per sapere se si sta commettendo un reato».

Oltre al patto per l’Islam, qual è lo strumento più importante di prevenzione del terrorismo religioso che lei lascia a chi verrà?
«Il rimpatrio per ragioni di sicurezza nazionale. Lo scorso anno abbiamo fatto 132 rimpatri, quest’anno già 29. Riportare questi soggetti nei Paesi di origine consente di intervenire all’inizio di una radicalizzazione prima che diventi un progetto terroristico. Questo ci pone all’avanguardia rispetto ad altre situazioni europee che purtroppo abbiamo sotto gli occhi in questi giorni».

Con il cambio di governo cosa si dovrebbe fare per non disperdere queste capacità? Ha dei consigli per il suo successore?
«L’Italia è l’unico Paese ad aver sconfitto prima un terrorismo politico, poi un terrorismo mafioso, senza mai ricorrere a uno stato d’eccezione. Questo è uno straordinario patrimonio del sistema Paese. Quell’idea, quel modo di mettere in campo le forze, è oggi importantissimo sia per la magistratura che per le forze di polizia. È questo che ha fatto la differenza, non Minniti».

La politica non c’entra nulla?
«C’entra molto. L’altro elemento di forza nella lotta al terrorismo è stata l’unità delle forze politiche. Pensiamo a forze contrapposte e diversissime come il Pci e la Dc. Possono cambiare i governi, come è giusto che sia, ma l’Italia non dovrà mai disperdere questo patrimonio della democrazia».

Le viene riconosciuto anche dagli avversari di aver fatto calare gli sbarchi di clandestini. Dal primo gennaio di quest’anno siamo a -72 per cento. Ma, dicono, adesso ricomincia la bella stagione e il mare ridiventa calmo.
«Non c’entra niente il mare calmo, è infantile dirlo. Siamo al nono mese consecutivo di riduzione degli sbarchi, che c’entra il meteo? È il frutto di un lavoro che non può essere banalizzato».

La criticano anche per questo, per come operano i libici.
«Due settimane fa la procura generale di Tripoli, in cooperazione con la Direzione antimafia e antiterrorismo italiana, ha emesso 200 mandati di cattura per trafficanti di essere umani. L’anno scorso nessuno ci avrebbe creduto. Qualcuno in Italia l’ha raccontato?».

Si parla invece, e molto, della condizione dei migranti in Libia. L’Italia cosa sta facendo?
«Con Oim e Unhcr si è potuto stabilire, in Libia, chi ha diritto alla protezione internazionale. E questi rifugiati sono arrivati in Italia attraverso corridoi umanitari gestiti dal governo italiano. Chi scappa dalla guerra non lo devono portare qui gli scafisti, ce ne occupiamo noi. L’Oim ha fatto più di 22500 rimpatri volontari assistiti dalla Libia ai Paesi d’origine. L’Italia è stato il primo Paese ad aver organizzato un corridoio umanitario da Tripoli direttamente in Europa. Controllo dei confini, aiuti umanitari, intervento per gestire i rimpatri volontari, aiuto a chi ha diritto alla protezione internazionale. Può diventare un modello, che tiene insieme umanità e sicurezza. Forse l’unico possibile».

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