9 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

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di Carlo Bertini

Legò il suo nome alla riforma che introdusse il Servizio Sanitario Nazionale

Tina Anselmi, un pezzo di storia della Repubblica, se n’è andata. Le sue biografie narrano un episodio cruento che fu alla radice del suo impegno politico negli anni a venire. Durante gli anni del liceo a bassano del Grappa è costretta ad assistere all’uccisione di trentuno prigionieri per una rappresaglia dei nazifascisti. Pochi mesi dopo il suo nome di battaglia è Gabriella e diventa staffetta della brigata Cesare Battisti.
Avrebbe compiuto novant’anni l’anno prossimo Tina Anselmi, e di questi almeno quaranta li ha dedicati alla politica, fino alla presidenza di quella commissione d’inchiesta sulla P2, che ai tempi costituiva un incarico più che spinoso vista la portata dei protagonisti coinvolti. La pioggia di tributi che da stamane piovono via Twitter da donne di destra e di sinistra – solo due esempi, la Boschi e la Carfagna – mostrano come la figura di questa ragazza partigiana, che a diciassette anni si iscrive alla Dc per poi diventare il primo ministro della Repubblica, incarna da sempre in Italia l’immagine di donna impegnata ai massimi livelli al servizio della cosa pubblica. Non solo fino a diventarne il primo ministro donna, al lavoro e alla previdenza sociale nel 1976 con il terzo governo Andreotti; ma anche fino ad essere più volte iscritta nella rosa di candidati per la presidenza della repubblica, circostanza emblematica della popolarità della sua figura.
Spesso accostata a quella di Nilde Iotti, due donne influenti nei due più grandi partiti dell’epoca, il Pci e la Dc, quasi coetanee, entrambe impegnate nella resistenza, entrambe capaci di farsi valere in un mondo politico ancora pervaso da un diffuso maschilismo che rendeva arduo assurgere a cariche apicali. E basta scorrere quelle ricoperte dalla Anselmi per avere la riprova del suo peso politico dal dopoguerra fimo agli anni ottanta. La sua battaglia vinta fu la riforma per intodurre il servizio sanitario nazionale, ma è stata anche la madrina della legge sulle pari opportunità.
Dirigente del sindacato tessili e degli insegnanti della CISL dopo la guerra, tre volte sottosegretario al lavoro e poi ministro, di nuovo ministro della sanità negli anni settanta in altri due governi Andreotti, fino appunto alla presidenza della commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia P2.

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