Il portavoce di Putin: c’è molta strada da fare per riparare ai danni. Ma per gli ultranazionalisti le aperture di Trump sono un tranello
La missione dei portavoce è la certificazione dell’esistente. Non sfugge Dmitry Peskov, che ieri sera durante una intervista al programma «Mosca.Cremlino.Putin.», a sua volta condotto da Pavel Zarubin, che del presidente russo è l’intervistatore abituale, ha affermato che «la nuova politica estera Usa coincide con la nostra», ponendo così i sigilli su una delle inversioni a 180 gradi più veloci della storia contemporanea. Certo, ha aggiunto, «c’è una lunga strada da percorrere, perché il danno che è stato inflitto alle nostre relazioni bilaterali è stato significativo», forse facendo riferimento in pratica agli ultimi vent’anni di diplomazia tra Casa Bianca e Cremlino.
Il passo lungo del Cremlino
L’unica cosa che appare certa è che in questo nuovo scenario, l’Ucraina è una casella fastidiosa che non si riesce ancora a mettere nel posto giusto, come vorrebbero sia Putin che Trump. Per una volta, sembra che il Cremlino stia facendo un passo molto più lungo di quello a cui è abituata la sua opinione pubblica, che almeno dal 2007, anno della famosa conferenza di Monaco e della svolta antioccidentale di Putin, si nutre di un antiamericanismo molto acceso.
«Nessuna illusione»
È una perplessità che si coglie in pieno parlando con il direttore dell’Istituto per le relazioni internazionali presso l’Università di Mosca Maksim Suchkov, titolare di un seguitissimo canale Telegram chiamato «Post-America», e il titolo dice già molto. «Se per i democratici il “guastafeste” era la Russia, per Trump lo sta diventando l’Ucraina. Ma non occorre illudersi: la chiave per la fine del conflitto ce l’hanno in mano gli Usa. Da un giorno all’altro, potrebbero staccare Starlink, da cui dipende l’intero sistema di comando delle Forze Armate ucraine. Ma non lo fanno, perché sentono di poter approfittare ancora di più dell’attuale situazione. E più in generale, non ci si può mai rilassare con Trump, sappiamo bene perché».
Il nemico comune
A giudicare dal rapido adeguamento della macchina della propaganda, la nuova e cordialissima intesa tra due rivali storici si basa sull’individuazione di un nemico comune: l’Europa, come dimostrano anche le parole del ministro degli Esteri Sergey Lavrov che ha parlato di un piano europeo «arrogante». Non più strali e minacce di bombe nucleari sull’intero Occidente, ma una netta distinzione, con Londra e Parigi come bersagli privilegiati, oltre all’odiatissima Polonia. Anche perché se la richiesta, anzi l’imposizione Usa di finire l’Operazione militare speciale il più in fretta possibile viene considerata come la condizione necessaria per aprire questa nuova era delle relazioni Usa-America, esiste anche una opposizione interna, identificabile nella cosiddetta galassia ultranazionalista. I popolari canali Z gioiscono per l’addio alla formula «nulla sull’Ucraina senza l’Ucraina», ma temono che saranno gli Usa a diventare i principali beneficiari di una eventuale fine delle ostilità.
«Nessuno ci regalerà la vittoria»
«La normalizzazione dei rapporti Russia-Usa va tenuta in considerazione ma bisogna sempre tenere presente che il prossimo presidente americano potrebbe assumere una posizione opposta. Per ora, c’è anche la sensazione di un tranello. È chiaro che non c’è nessun “piano Trump” altrimenti i suoi contorni sarebbero già stati delineati. L’Europa vuole continuare la guerra e nessun Trump ci regalerà la vittoria, e neppure ce la venderà, bisogna conquistarla militarmente». Nessuno storico e nessun esperto russo si azzarda però a prevedere quali saranno i fondamentali della «nuova architettura mondiale». Li conoscono solo Putin e Trump. Forse, non ne è al corrente fino in fondo neppure il ministero degli Esteri, che nelle ultime settimane ha prodotto dichiarazioni volte a raffreddare l’entusiasmo generale. Ma ben presto sapremo. Tutti noi.