Fonte: Corriere della Sera
Gli abusi nei confronti di profughi e migranti, anche in Europa, nel rapporto di Medici senza frontiere. Le testimonianze: «Gommoni affondati da uomini in divisa in Grecia»
«Siamo fuggiti per dare un po’ di sicurezza ai bambini, perché potessero avere da mangiare e andare a scuola. In Siria non c’è più niente: la mia città è stata interamente distrutta. Ma se avessi saputo che era così difficile arrivare in Europa, non li avrei mai fatti partire: piuttosto sarei morto in Siria. Pensavo che la gente qui ci avrebbe trattato bene. Ma sono stato arrestato 33 volte. Mi hanno messo in prigione in Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria. Perché? Non lo capisco: non ho fatto niente di male. Non ho ucciso nessuno. Non ho rubato. Sono sfuggito alla morte solo per trovare altra morte. Il mio futuro è nel futuro dei miei figli. Ma non so dove sono». A parlare è un profugo siriano: l’associazione umanitaria Medici senza frontiere (Msf) ha raccolto la sua testimonianza in una foresta della Serbia, l’inverno scorso. Era solo: aveva perso ogni contatto con la moglie e i suoi 4 bambini. Insieme avevano cercato di arrivare in Europa attraverso la cosiddetta «rotta balcanica», che dalla Grecia conduce in Austria, ma dopo gli arresti non ha più notizie di loro. L’uomo fa parte dei rifugiati e migranti (centomila solo tra il 1° gennaio e il 15 dicembre) curati da Msf in Europa. La sua non è una storia isolata: lo scorso anno 1.008.616 di persone hanno cercato scampo in Europa. L’84% proviene da Paesi con alto numero di rifugiati, di cui 49% Siria, 21% Afghanistan e 9% Iraq — il 17% sono donne e il 25% bambini sotto i 18 anni. La maggioranza avrebbe diritto a protezione umanitaria, ma la chiusura della frontiere e le attuali regole per le richieste di asilo li espongono a una serie infinite di abusi e di violenze, di cui Medici senza frontiere – associazione premiata con il Nobel per la pace nel 1999 — rende conte in un dossier raccolto dai suoi operatori sul campo (alcune testimonianze sono in forma anonima per evitare rischi di ritorsione sulle persone coinvolte).
Le critiche all’Unione europea
Molti di questi abusi avvengono proprio in Europa. «Non solo l’Unione europea e i governi hanno fallito collettivamente nell’affrontare la crisi, ma con le loro politiche di deterrenza e una risposta caotica ai bisogni umanitari delle persone in fuga hanno di fatto peggiorato le condizioni di migliaia di uomini, donne e bambini già vulnerabili» denuncia Brice de le Vingne, direttore delle operazioni di Msf. «L’asilo è un diritto umano universale, non è un lusso. Se una persona rischia la vita o è perseguitata ha diritto di essere accolta, protetta e messa nella condizione di ricostruire un proprio benessere psicofisico — aggiunge Stefano Argenziano, coordinatore delle operazioni sulla migrazione di Msf —. In teoria l’Ue riconosce il diritto all’asilo, ma per accedervi bisogna arrivare sul suo territorio e fare domanda lì. Visto però che le frontiere con i Paesi non comunitari sono chiuse, per poter chiedere protezione i profughi rischiano la vita». Spesso la perdono (3.7771 i morti accertati solo lo scorso anno nel Mediterraneo). O sopravvivono solo a prezzo di traumi pesantissimi.
Gli stupri sistematici in Libia
Uno dei luoghi più pericolosi per migranti e profughi è la Libia, passaggio privilegiato per chi cerca di arrivare sulle coste italiane (secondo l’Agenzia Onu per i rifugiati sono 153 mila le persone sbarcate in Italia, provenienti per lo più da Eritrea, Siria, Somalia e altri Paesi dell’Africa Subsahariana). «Delle 125 persone intervistate dagli operatori di Msf solo in ottobre, il 92% ci ha detto di essere stata vittima di violenze in Libia — si legge nel rapporto dell’associazione umanitaria —. Praticamente tutte hanno assistito ad atti di violenza contro richiedenti asilo e migranti. Ci sono stati raccontati pestaggi, uccisioni, violenze sessuali. Metà delle persone intervistate ci ha riferito di essere stata sequestrata per brevi o lunghi periodi». Fresghy,20 anni, eritreo, è rimasto per mesi prigioniero in Libia finché la famiglia non ha pagato per la sua liberazione: «Mi hanno chiuso in uno stabile rovente, senza aria condizionata, né servizi — dice —. Se ti ammalavi, nessuno ti dava medicine o si curava di te. L’unica cosa a ci erano interessati erano i soldi. Molte donne che erano con noi sono state violentate». Le più esposte agli abusi sono le donne. «Sono rimasta per tre mesi a Tripoli. Non ci sono parole epr descrivere la mia vita laggiù. È il posto peggiore al mondo — ha testimoniato una donna eritrea salvata nel canale di Sicilia dalla nave Bourbon Argos di Msf —. Ci trattavano come animali. Hanno separato le donne dagli uomini e ogni giorno prendevano una di noi per soddisfare le loro voglie».
«Grecia, barconi affondati dagli uomini in divisa»
Nel corso del 2015 la maggior parte degli ingressi in Europa si è spostata sulla rotta orientale, tra Turchia e Grecia: sono 851,319 gli arrivi registrati tra il primo gennaio e il 31 dicembre. Ad agosto e settembre sulle isole greche sono sbarcate in media quattromila persone al giorno. A ottobre sono diventate seimila . La traversata via mare tra Turchia e Grecia può durare dai 45 minuti a poche ore (molto meno di quella dalla Libia all’Italia, che varia dalle 30 alle 70 ore), dovrebbe quindi essere meno rischiosa. Ma Medici senza frontiere denuncia l’assoluta mancanza di soccorsi e addirittura atti di sabotaggio. «A luglio 2015 i nostri operatori a Lesbo e Kos sono stati avvicinati da rifugiati che hanno riferito storie preoccupanti di violenze in mare da parte di uomini mascherati che li hanno derubati o hanno buttato i loro averi in mare — si legge nel rapporto dell’associazione —. Alcuni hanno parlato di barche che si sono avvicinate ai gommoni e hanno tentato di affondarli con lunghe pertiche» . Ecco cosa ha raccontato un siriano arrivato a Kos: «Siamo stati attaccati tra la Turchia e l’isola di Farmakonisi da tre uomini in uniforme a bordo di una grande barca grigia di metallo. I tre indossavano divise blue scure con una bandiera greca sulla spalla. Ci siamo avvicinati, abbiamo mostrato che c’erano i bambini, perché ci aiutassero. Non dimenticherò mai quello che è successo: hanno usato un arpione per bucare la nostra imbarcazione a prua. Hanno fatto due fori e a bordo si è scatenato il panico. Ci volevano uccidere». In altri casi le navi sarebbero state trainate di nuovo nelle acque turche. Le autorità greche hanno sempre negato che la Guardia Costiera del Paese sia stata coinvolta in simili episodi. «Ma noi abbiamo registrato a più riprese testimonianze di attacchi di violenza gratuita e disumana — dice il coordinatore delle operazioni sulla migrazione di Msf Stefano Argenziano —. Abbiamo chiesto alla Grecia di intervenire, ma a nostra conoscenza non ci sono state investigazioni avviate e concluse su questi fatti». In generale Msf denuncia una pessima gestione degli arrivi: «In Grecia, non solo le autorità non hanno organizzato un sistema di accoglienza adeguato e umano, ma hanno anche impedito attivamente alle organizzazioni umanitarie di intervenire per coprire le lacune — sostiene il rapporto —. Negli ultimi mesi, le equipe di Msf a Kos, Lesbo e Leros hanno lottato senza tregua per ottenere l’autorizzazione a fornire assistenza umanitaria ai nuovi arrivati».
«Furti e arresti gratuiti nei Balcani»
L’ultimo fronte è quello dei Balcani: anche qui i profughi denunciano violenze sistematiche da parte delle forze dell’ordine: «Mi sono spostato dalla Grecia alla Macedonia ma sono stato arrestato 4 volte e riportato in Grecia — ha raccontato agli operatori di Msf un siriano trovato nella foresta di Bogovadja, in Serbia —. La polizia macedone mi ha preso tuti i soldi. Sulla strada per la Serbia sono stato fermato dalla mafia. Hanno preso tutto quello che avevo e mi hanno lasciato in una zona isolata. Ho chiesto aiuto alla polizia serba ma mi hanno messo in carcere per 10 giorni e poi mi hanno deportato in Macedonia. Sono tornato in Serbia e da lì ho continuato per l’Ungheria. Dove mi hanno arrestato, ammanettato e buttato in una cella senza acqua e cibo. Ero malato e avevo sete, ma quando ho chiesto dell’acqua, un poliziotto mi ha detto: “Piscio in un bicchiere e te lo faccio bere”». Altrettanto dura la testimonianza di un iracheno incontrato da Msf in Serbia, poco oltre il confine con la Bulgaria: «Non posso credere che la Bulgaria sia un Paese dell’Unione europea . La polizia lì non è polizia, ma una mafia — ha denunciato—. Ci hanno preso i soldi e i cellulari. Ci hanno picchiato: anche le donne. Stavamo scappando dallo Stato Islamico: non sapevo che ci fosse uno Stato Islamico in Bulgaria», ha aggiunto. Secondo Medici senza frontiere simili abusi sono soprattutto il frutto della chiusura delle frontiere: «Per questo chiediamo la creazione di vie sicure e legali per chi ha bisogno di chiudere protezione umanitaria — spiega Argenziano —. Deve essere possibile chiedere asilo nei Paesi di origine, ma anche in quelli di transito (come la Libia). Le attuali politiche restrittive dell’Unione europea aumentano solo sofferenze che potrebbero essere facilmente risparmiate».